La Voce della Scuola

25 Aprile: Libertà, una parola che oggi va difesa più che celebrata

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione. Ma oggi, nel 2025, ha ancora senso parlare di “libertà” in un Paese dove ogni giorno qualcuno la perde un po’?

A cura di Diego Palma
25 aprile 2025 08:28
25 Aprile: Libertà, una parola che oggi va difesa più che celebrata -
Condividi

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione. Ma oggi, nel 2025, ha ancora senso parlare di “libertà” in un Paese dove ogni giorno qualcuno la perde un po’?

Libertà non è solo un concetto da libri di storia o da commemorazioni ufficiali. Libertà è vivere senza paura di esprimersi. È insegnare senza doversi nascondere. Eppure, insegnanti vengono licenziati non per incompetenza, ma per la loro vita privata. L’ultimo caso: una maestra sospesa perché presente su Tinder. Un profilo su un’app, diventato “motivo di inidoneità”. Non è il primo episodio, e probabilmente non sarà l’ultimo.

La scuola, che dovrebbe insegnare la libertà di pensiero, oggi soffoca chi pensa. Dirigenti scolastici trasformati in sceriffi, docenti e personale ATA vessati da mobbing, ferie negate, permessi personali rifiutati. Ricordiamo chi non si vaccinava: non importava se per scelta o salute, veniva messo alla porta. A centinaia. E così abbiamo colpito la libertà più intima: quella sulle scelte del proprio corpo, basta ricordare il periodo del COVID.

Libertà di credo? Solo se non disturba. Libertà di orientamento sessuale? Ancora oggetto di battute, discriminazioni, esclusione. Quanti dirigenti, docenti, studenti vessati e bullizzati? Vivere l’amore è tollerato solo in certe forme. Lasciarlo, invece, è ancora un tabù pericoloso. Ogni settimana una donna viene uccisa per aver detto basta. La fine di un amore, che dovrebbe essere un diritto, è diventata una condanna.

E poi ci sono loro, gli alunni stranieri. Ragazzi e ragazze che crescono tra due mondi, troppo spesso senza sentirsi parte di nessuno. Che lingua parli, che religione segui, da dove vieni: tutto diventa motivo per essere messi da parte. Non sempre apertamente, ma con quelle esclusioni sottili, quotidiane. Vengono trattati come ospiti temporanei, mai come cittadini del futuro. E invece sono parte viva del presente. Ma per molti di loro la scuola non è un luogo di libertà, è un campo minato. Devono tradurre sé stessi in un sistema che non li riconosce, che li giudica prima ancora di ascoltarli. E anche questo è un fallimento della libertà.

Siamo liberi? O siamo solo lavoratori stanchi, incastrati in una routine che ci ha tolto il tempo, l’energia e perfino il pensiero critico? Siamo spettatori della vita degli altri, chiusi in una bolla di social dove tutto è filtro, niente è reale. Una piazza digitale dove la libertà è un like, e il pensiero è un meme.

Viviamo in una società dove si è liberi di comprare, ma non di scegliere. Il consumismo detta legge: lavora, produci, consuma, ripeti. E chi esce dal giro è un problema da gestire.

I più piccoli crescono in scuole dove i diritti sono opzionali, dove l’obbedienza vale più della curiosità, e dove il pensiero critico è spesso visto come un fastidio. La scuola forma cittadini allineati, non menti libere. Insegna il programma, non la libertà. E questo non è progresso: è addestramento, tutto valutato con maxi test che non si capisce cosa realmente valutano a che scopo e interesse.

Il 25 aprile dovrebbe ricordarci che la libertà è una conquista, non un dato di fatto. E che oggi, più che mai, serve una rivoluzione. Non una rivoluzione di piazza, ma una rivoluzione socratica. Una che parta dalla coscienza, dalle domande, dal coraggio di rimettere tutto in discussione. Una rivoluzione che parta dalla scuola, oggi ridotta a un organo amministrativo, e torni a essere ciò che dovrebbe: un luogo di crescita, pensiero, libertà.

Perché senza quella, il 25 aprile è solo un giorno sul calendario.

La Voce della Scuola sui social