Berlusconi, Craxi e i favolosi anni 80
Per comprendere la cultura imprenditoriale di Berlusconi non si può prescindere dal congresso socialista di Torino nel 1978. L’inedita alleanza tra la sinistra del PSI e gli autonomisti di Craxi lanci...

Per comprendere la cultura imprenditoriale di Berlusconi non si può prescindere dal congresso socialista di Torino nel 1978. L’inedita alleanza tra la sinistra del PSI e gli autonomisti di Craxi lancia, in risposta al disegno berlingueriano del Compromesso storico, la Strategia dell’Alternativa. Sono gli anni bui del terrorismo e il Congresso dei socialisti ha luogo mentre l’Italia è scossa dal rapimento del presidente democristiano Aldo Moro per mano delle Brigate rosse. Al “fronte della fermezza” Craxi oppone quello della trattativa per salvare la vita del Presidente della Dc, parla di “azione umanitaria, nel rispetto delle leggi repubblicane”, sulla falsariga dell’impostazione giuridica curata da Giuliano Vassalli, futuro presidente della Corte Costituzionale, e con la convinta adesione dell’ex presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.
Il Progetto Socialista che ne uscì da quel congresso determinò una profonda trasformazione dei valori della cultura socialista. Il liberalismo, come filosofia politica che pone l’individuo e i suoi diritti al centro della riflessione, viene riscoperto come valore fondamentale senza il quale il socialismo non può nulla. Peggio, esso rischia di trasformarsi in una pratica autoritaria e burocratica se non tiene conto che la lotta per l’incremento della giustizia sociale deve andare di pari passo con quella per l’estensione e la difesa delle libertà individuali.
Questa idea diventò clima culturale del paese che ha dominato gli anni 80 e che ha portato l’Italia, caratterizzata con il brand Made in Italy, a diventare la quarta potenza industriale del mondo superando Gran Bretagna e Francia. Berlusconi con le sue televisioni e Craxi con la politica interpretarono le esigenze di libertà e la voglia di ricchezza proprio in un Paese in cui “le subculture cattoliche e comuniste consideravano il guadagno un peccato da espiare”. L’Italia entrò nell’era del consumo di massa attraverso l’avvento delle televisioni private e delle pubblicità che fornivano ai consumatori facile accesso al mercato. Soprattutto iniziava ad espandersi un fenomeno che si sarebbe chiamato “globalizzazione”, attraverso la sempre più rapida mondializzazione dell’economia di quegli anni. Con la nascita del Made in Italy l’individualismo non si muoveva in contrasto allo spirito di comunità, bensì incarnava quella voglia di cambiamento e di ricerca di un nuovo tipo di senso comunitario. Questo nuovo senso di comunità e spirito di appartenenza patriottica esplose durante i Mondiali del 1982 che contribuì alla riscoperta dei valori nazionali di unità per tutto il Paese.
La politica e il mondo delle imprese colsero la positività di questo fenomeno di “passione nazionale”, ovvero la capacità di superare qualsiasi divisione politica, ideologica, sociale e geografica grazie al tifo per la nazionale di calcio.
Per i comunisti, invece, il Paese stava attraversando anni terribili, caratterizzati dall’egoismo e dal cinismo, dalla caduta dei valori e dalla chiusura nel privato.
Quegli anni mostrarono anche che l’unica forma di mobilitazione possibile era il movimento: rapido, elastico e a bassa connotazione ideologica. La fine del decennio coincise con l’aumento del sentimento di indignazione, cresciuto a dismisura nel Paese e amplificato molto dai media, con i politici diventati ormai invisi perché considerati non in grado di decidere. Quando questi sceglievano invece di agire, le loro decisioni producevano un aumento delle proteste. Le stragi e gli attentati mafiosi diedero, infine, la spallata finale.