Calura poetica
Cosa avrebbe scritto Giacomo Leopardi delle temperature africane di questi ultimi giorni? Cosa avrebbe scritto, in più, rispetto ai versi nei quali si lagnava del sole, che, nelle ore del meriggio, lo...

Cosa avrebbe scritto Giacomo Leopardi delle temperature africane di questi ultimi giorni? Cosa avrebbe scritto, in più, rispetto ai versi nei quali si lagnava del sole, che, nelle ore del meriggio, lo trafiggeva, fino a farlo sentire senza energia. Ne La vita solitaria, infatti, Leopardi scriveva che il sole «saetta», uccide, e avvampa. Caso forse unico, nella nostra letteratura, Giacomo Leopardi non ha (quasi) mai scritto (bene) del sole, mentre, al contrario, tutti gli altri poeti celebrano il sole come fonte e origine della vita, come l’astro (o la divinità) che dona il calore alla terra, e, quindi, dona la vita. Le più belle (e note) poesie di Leopardi, invece, hanno come interlocutrice la luna, non il sole. È alla luna che Leopardi dedica i versi più belli (e noti, nella memoria letteraria di ciascuno di noi). Nella poesia di Leopardi, infatti, il sole compare nella forma canicolare del meriggio, ed è causa d’ogni male: immobilismo, mutismo, dimenticanza, estraneità. Al contrario, la luna è sempre una confidente privilegiata (e amata). Per Leopardi, la lunaè sempre bianca, argentea, candida, vergine. Dopo il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, che è del 1829-1830, il poeta non scrisse più nemmeno della luna. Soltanto nel 1837, tornò a scrivere della luna, con un canto estremo, Il tramonto della luna, appunto, che, però, nei suoi versi, sprizzava nuova freschezza, e conteneva una significativa novità, rispetto al passato, nella considerazione sia del sole che della luna: il tramonto della luna, in questa ultima poesia di Leopardi, pur accompagnato dal buio più totale, annuncia l’arrivo imminente del sole, che non è più quel sole saettante e tremendo della poesia giovanile, ma è apportatore di luce, e, quindi, di vita. L’alba incipiente, infatti, consentirà al sole di riportare la luce nel mondo («imbiancar novamente», v. 57). In questa sua ultima poesia, Leopardi scrive che le fiamme del sole sono acque benefiche («lucidi torrenti»), che inondano la terra con il chiarore, riportando la vita (e la speranza), oltre il buio.
Nel nostro Novecento letterario più alto e maturo, per limitarmi a citare solo due nomi, non avremmo avuto, in questa stessa direzione, del rapporto drammatico con il sole, se non ci fosse stata la poesia di Leopardi, e il suo rapporto negativo con il sole, né la poesia di Eugenio Montale, che del sole scrisse, che, nel meriggio, appunto, proietta la nostra ombra su di un muro scalcinato, né Salvatore Quasimodo, con il suo sole che trafigge (e uccide). Per il Montale di Meriggiare, il sole rende tutto rovente, abbaglia, e ci rivela, tristemente, quanto la nostra vita sia un andare senza senso, lungo la muraglia scalcinata, con in cima «cocci aguzzi di bottiglia». Né avremmo avuto, come ho già annunciato, la poesia di Salvatore Quasimodo, il cui sole trafigge, e ci trova soli, «sul cuor della terra».
Mi piace, infine, citare, in questo mini-percorso poetico sul sole nella poesia italiana del Novecento, il pugliese Vittorio Bodini, nato a Bari nel 1914, da genitori salentini, ma che, sostanzialmente, visse a Lecce. A Bari, Bodini fece ritorno soltanto anni e anni dopo, da docente presso l’Università degli Studi, in qualità di raffinato ispanista, traduttore dei Classici della letteratura spagnola (Alberti, García Lorca, Luis de Góngora, Francisco de Quevedo, Cervantes, e altri), e di poeta egli stesso. Mi piace citarlo non solo per coerenza con questo mio micro-percorso didattico sulla poesia canicolare, ma anche per sottolineare l’anniversario tondo dei centodieci anni dalla sua nascita. Come non chiudere, allora, questa mia proposta con la citazione dei versi bodiniani:
Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia di un dado.
Nei quali, appunto, il sole (e le case con i loro muri imbiancati a calce) è presenza semantica di primissimo piano?