Educatori scolastici: fotografia di una professione dai contorni incerti
Mentre si sta concludendo anche l’anno scolastico 2022-23 con importanti riforme dal punto di vista del reclutamento e dell’accesso alla professione, vogliamo oggi dare spazio alla figura dell’educato...

Mentre si sta concludendo anche l’anno scolastico 2022-23 con importanti riforme dal punto di vista del reclutamento e dell’accesso alla professione, vogliamo oggi dare spazio alla figura dell’educatore scolastico, che affianca il team di classe nei processi di inclusione dei ragazzi con disabilità.
Questa professione, cui si accede con percorsi universitari (ma, non solo) riporta al contratto delle cooperative sociali, che ottengono da parte degli enti locali, con bandi pubblici, appalti di servizi educativi nelle scuole.
E questa “triangolazione” tra scuola, comune e cooperativa è un aspetto che incide non poco sullo status degli educatori.
Lo vediamo attraverso alcune storie, realtà che raccontano un ruolo troppo spesso dimenticato.
Simona Pilotti vive a Monza ed è arrivata a lavorare in ambito scolastico alcuni anni fa, prima con una triennale in Educazione Professionale e poi con la magistrale in Scienze Pedagogiche.
“Mi è sempre piaciuto l’ambito scolastico, i bambini, ma dopo anni di esperienza mi accorgo che la nostra figura non è valorizzata, né in termini di appartenenza al team di classe, né in termini di valorizzazione retributiva”. Il CCNL delle Cooperative Sociali, infatti, ha valore puramente formale, in quanto le condizioni di lavoro sono spesso dettate dal bando che le cooperative si aggiudicano.
“Di frequente, se il ragazzo che seguiamo si assenta a scuola per malattia o altro, noi perdiamo la retribuzione relativa a quei giorni” conclude Simona.
Nelle scuole del Nord c’è molta richiesta di educatori, ma molti stanno preferendo licenziarsi per lavorare nella scuola con contratti a termine, perché, pur assunti a tempo indeterminato, fattivamente d’estate “restano in panchina” e non possono richiedere gli ammortizzatori sociali come la Naspi.
Anche al centro la situazione non è migliore: Massimiliano Palombi lavora come educatore ad Avezzano, in Abruzzo, dove collabora anche con il tribunale dei minori. “ Non è possibile considerare il lavoro di educatore un lavoro stabile. A fronte dell’acquisizione di una laurea magistrale l’inquadramento medio è di 1.100 euro per un totale di 30 ore settimanali a cui si aggiungono, extra time, le riunioni di equipe, i verbali, i GLO. “Un lavoro importantissimo per l’inclusione e lo sviluppo psico sociale dei ragazzi, che si affianca a quello didattico. Dopo qualche anno si cercano altre strade, non può essere che un’attività transitoria.
Durante la pandemia sono state potenziate le assistenze domiciliari (cioè gli interventi voluti dal tribunale sui ragazzi e sulle famiglie in situazione di disagio), ma ora che è finita l’emergenza le risorse economiche messe a disposizione sono tornate poche.
Spostiamoci di qualche centinaio di chilometri: Mariagrazia Benevento, vive in Campania, ha 38 anni e si alterna tra interventi domiciliari e scolastici. “Lavoro con i bambini sia durante le ore in classe, sia, in qualche caso, col supporto educativo a casa, nel pomeriggio. Spesso mi confronto con famiglie fragili, che a loro volta sono bisognose di sostegno. Questo mi permettere anche di “ammortizzare” la carenza di lavoro nei mesi estivi, quando le attività a scuola vengono meno. Il lavoro c’è, c’è la passione e la consapevolezza di ricoprire un ruolo delicato nella formazione della persona; ma bisogna essere molto flessibili e adattarsi, perchè ciò che manca è la continuità lavorativa e una vera valorizzazione della professione. Siamo sempre appesi ad un filo.”
Tre storie, tre immagini di una professione che resta in attesa di un maggiore riconoscimento, sia in termini di coinvolgimento nel sistema scolastico, sia in termini di valorizzazione economica.