Gioco pericoloso di Gabriella Genisi, dieci anni dopo, attualissimo (purtroppo)!
Gioco pericoloso (2014), tappa sportiva, con focus sul calcioscommesse, delle inchieste di Lolita Lobosco, la commissaria in forza presso la Questura di Bari, protagonista di questa indagine.

Gioco pericoloso (2014), tappa sportiva, con focus sul calcioscommesse, delle inchieste di Lolita Lobosco, la commissaria in forza presso la Questura di Bari, protagonista di questa indagine. Un calciatore è morto alla stadio San Nicola, durante la partita decisiva per la permanenza del Bari in serie A, ma dalle indagini verrà a galla tutto un losco intrigo internazionale di scommesse sulle singole partite e sull’intero campionato, di contiguità tra settori inquinati dei tifosi (gli ultras) e la malavita organizzata, che finirà per investire l’intero mondo del calcio italiano, con diramazioni in molte altre nazioni:
Nella controra del dopopranzo barese, la città è tutta allo stadio. Quelli che contano, quelli che non contano niente, le famiglie con i bambini, gli impiegati, i malavitosi e i poveri cristi. Con un caldo polveroso che ti prende alla gola e non ti fa respirare, ma questo oggi è l’ultimo dei pensieri. I veri tifosi respireranno dopo. La partita è decisiva, basteranno novanta minuti per sapere se stiamo dentro o fuori dalla serie A.
Il commissario Lolita Lobosco, quella domenica, si trovava allo stadio san Nicola di Bari, l’astronave, per puro caso, perché avevaricevuto due biglietti in omaggio dall’amica sua, «Marietta comecavolosichiama», per averle prestato la casa, per qualche ora (e non era la prima volta che gliela prestava, e senza chiedere perché, tanto si sa cosa «tiene da fare» l’amicasua). Stadio pienissimo. Partita ancora ferma sullo zero a zero, quando, portandosi la mano al petto, e con una smorfia di dolore, un calciatore del Bari cadde all’indietro sul campo erboso, con gli occhi sbarrati:
Della morte sul campo di Domenico Scatucci – 32 anni, capitano della squadra barese ed ex promessa del calcio nazionale, una giovanissima moglie ungherese incinta al quinto mese, due anni nell’Udinese, uno nella Juve e da tre in quota al Bari – si parlò per almeno una settimana. Una di quelle morti inspiegabili e sempre più frequenti in campo sportivo, uno di quei casi probabilmente all’ombra del doping. Ma la gioia del pareggio a noi favorevole e della conseguente riconferma in serie A consolò il dolore del lutto e lo seppellì sotto le migliaia di bandiere biancorosse che per quasi un mese ammantarono la città.
Caso archiviato. Ma, in una notte afosa, benché novembrina, per le vie della città, un camion della nettezza urbana, travolge e uccide Vittorio Lamuraglia, conosciuto come «Vittorio ‘o bebbè», una vecchia conoscenza del commissario Lolita Lobosco, incontrato poco prima dell’investimento mortale, per strada, perché Lolita si era precipitata per strada per capire il motivo degli schiamazzi che stavano per degenerare in rissa, e, riconosciutolo nella folla dei curiosi, sia pure un po’ in disparte, era stato avvicinato dal commissario, intenzionata a chiedergli cosa stesse accadendo. Il mattino dopo, Lolita apprende che Vittorio Lamuraglia, quella stessa notte, poco dopo l’incontro, era stato investito e ucciso da un camion della nettezza urbana. Ipotesidell’accaduto, formulato dal magistrato di turno accorso sulla scena del delitto, incidente. Seguendo però piccoli indizi, come, per esempio, il dettaglio che chi guidasse, quella sera il camion, non risultava essere dipendente dell’azienda municipalizzata di raccolta della nettezza urbana, e che, soprattutto, risultasse irreperibile da quella sera in poi; e seguendo pure alcune suggestioni femminili, agli occhi di Lolita Lobosco, dirigente della sezione Omicidi della Questura di Bari, la morte di Lamuraglia si tingeva di colori foschi, e di ombre sospette. Con le indagini, infatti, Lobosco scoprirà che il povero Vittorio Lamuraglia, in realtà, si trovava al centro di una rete di scommesse clandestine sulle partite di calcio, venendo a sapere, dalla donna con la quale in quel periodo Lamuraglia aveva una relazione, Antoietta Bertoldazzo, 47 anni e di professione pierre,che Vittorio, negli ultimi tempi, avesse atteggiamenti strani, come, per esempio, seguire contemporaneamente più partite:
…guardava tutte le partite. A volte con due o tre televisori tutti insieme. Con il tavolo pieno di carte e foglietti. Ricevute del Superenalotto, o così almeno sembravano.
Lolita, con stupore, apprende che le scommesse sulle partite di calcio, adesso, non si limitassero più al 13 del Totocalcio, ma che fossero molto cambiate, in peggio:
Adesso si può giocare su ogni singolo momento della partita, sul minuto in cui verrà segnato un rigore, una punizione o un calcio d’angolo. O su quanti gol saranno fatti durante i 90 minuti.
Tramite un amico giornalista, Gustavo Gironda, in servizio presso un noto quotidiano cittadino, che Lolita, in questa circostanza, con cinismo, utilizzerà come duplice cavia, viene a conoscenza del passato piuttosto torbido del defunto Lamuraglia, un passato da faccendiere, e che fosse già condannato, anni prima, per associazione a delinquere; insomma, la «cornice giusta per un omicidio su commissione o per vendetta». Delitto maturato in ambito calcistico, per un giro di scommesse clandestine. Nel materiale ricevuto da Gustavo Gironda, tra ritagli di giornali e foto varie, Lolita scova una foto che ritrae Vittorio Lamuraglia, allo stadio san Nicola di Bari, in compagnia del compianto calciatore Domenico Scatucci, misteriosamente e tragicamente accasciatosi in campo, durante quella partita importante, a fine campionato, per la conferma, o meno, della permanenza in serie A della squadra del Bari. Lolita, allora, si convince ancora di più che la direzione da dare alle sue indagini sia proprio quella del calcioscommesse, per tentare di far luce sulla morte sospetta di entrambi. Visionando migliaia di foto, scattate sempre allo stadio, da parte di un certo Onofrio Colaianni, fotografo cittadino molto noto, ormai sulla settantina, con lunga esperienza e frequentazioni varie alle spalle, Lolita scopre un misterioso filo che collega, stranamente, il pubblico ministero Sabrina Sallusti, con Vittorio Lamuraglia (e, quindi, anche con Domenico Scatucci), per i quali, in entrambi i casi di morte, proprio lei era stata il magistrato di turno accorsa sulle due distinte scene del delitto, per constatarne il decesso, in modo sbrigativo, e senza disporre, in nessuno dei due casi, esami autoptici. Insomma, dalle indagini, dalle intercettazioni disposte dalla Procura, su richiesta di Lolita, emerge un quadro preoccupante e cupo:
…uno scandalo di portata internazionale, che tocca addirittura i Mondiali, finanche quelli di Brasile 2014. Oltre agli Europei e perfino un paio di incontri di Champions League […]. Sono giorni tristi, questi. Se non avessi ascoltato con le mie orecchie le intercettazioni italiane e straniere e se non ci fossero riscontri tecnici e scientifici di ampia portata, ci sarebbe da dubitare. Invece ci sono dentro tutti. Arbitri, calciatori e dirigenti. Agenzie di scommesse. Criminalità organizzata.
Come lettore, e come cittadino (e sportivo), a distanza di decenni, purtroppo, devo fare mia e sottoscrivere l’espressione che si leggein questa pagina appena citata dal libro di Gabriella Genisi, e cioè che sono «giorni tristi, questi», anche i nostri giorni, non solo quelli descritti nella narrazione, visto che, ricorrentemente, con una cadenza che spaventa, gli scandali intorno al mondo dello sport (e a quello del calcio, in modo particolare), sono un appuntamento fisso. Una malattia esantematica. Calciopoli, Calcioscommesse, i titoli giornalistici, negli anni, si sono sprecati, ma la sostanza non è mai cambiata, la sostanza parla solo e sempre di malaffare, perché girano troppi soldi, nel mondo del calcio, e dove girano i soldi, si sa, ci sono appetiti enormi, il più delle volte appetiti illeciti e malavitosi. L’elenco è drammatico: 1980, 1986, 2006, …., 2024, una ricorrenza spaventosamente ciclica, inarrestabile. Ieri come oggi, il mondo degli «ultras», risulta colluso con la malavita, e riesce a condizionare partite e campionati, uccidendo lo sport autentico, l’agonismo vero. Dalla penna creativa di Genisi, alla cronaca quotidiana, il passo è breve. Romanzo prisma, dunque, questo, che racconta, attraverso la lente del calcio, la dannazione di una città (che è, pure, la dannazione di un intero Paese, con diramazioni internazionali). Ecco le dolenti riflessioni di Lolita Lobosco, a fine inchiesta:
Sono le cinque, la giornata è limpida. Ha bisogno di fare quattro passi da sola. Il porto è di fronte alla Questura, mi basta attraversare la strada. Passeggio vicino al mare, rifletto. A Bari nessuno è innocente. Terribile, ma è così. Dal mare guardo la città, questa città bellissima, eppure senz’anima. Forse l’hai persa, forse non l’hai mai avuta. Bari. Il destino lo porti scritto nel tuo nome, perché quando pure i tifosi si vendono le partite, che altro vuoi fare. non ti resta più manco la speranza.
Per lei, comunque, chiudere quell’indagine aveva significato una duplice vittoria; da un lato, aver fiutato, scoperto e debellato un giro internazionale di scommesse clandestine; dall’altro, aver battuto, fino a farla arrestare, la sua rivale in amore, Sabrina Santucci, il sostituto procuratore colluso, che le aveva soffiato lamoresuobelloassai, Giovanni Panebianco, magistrato pure lui, presso la Procura di Bari, sostituto procuratore, in forza alla Dda, la Direzione distrettuale antimafia, Giovannimio, per dirla con Lolita:
[Sabrina Sallusti] Collegata direttamente con la mafia russa, e mandata qui apposta per occultare le indagini. Una vera iena […], nascosta dietro l’aspetto di un angelo.
Discesa all’inferno, smarrimento della «retta via», ma anche luce di speranza, con un cammino faticoso, certo, che la città deve intraprendere, ma con la speranza che, nonostante tutto, ci si possa rialzare, e ricominciare da zero:
L’indagine del Calcioscommesse travolse la città e la scosse sin nelle fondamenta. Il sentimento di delusione che seguì fu fortissimo, lo scandalo aveva colpito al cuore l’orgoglio dei baresi, e fatto smarrire il loro senso di appartenenza scardinando uno dei simboli più potenti, insieme alle cozze crude e a san Nicola.
Nei momenti di crisi, quando è più forte il bisogno di aggrapparsi a qualcosa, lo sport può servire a salvarti. E invece Bari aveva perduto anche questa possibilità. I tifosi si erano sentiti traditi nella fede biancorossa […].
L’intera città aveva voltato le spalle al Bari calcio, le bandiere col galletto erano sparite dalle ringhiere e dalle bancarelle sul lungomare. Troppo forte la delusione, imperdonabile il tradimento. Almeno così sembrava.
Ma poi accadde un fatto…
Lascio al lettore, a quanti, cioè, non avessero ancora letto questo bel romanzo di Gabriella Genisi, lo ripeto, uscito ben dieci anni fa, nel 2014, di scoprire da soli, con la lettura diretta il fatto nuovo, con il quale il libro si chiude.
Grande successo di pubblico, per la fiction Rai “Lolita Lobosco”, basata (liberamente) sui romanzi di Gabriella Genisi, andata in onda su Rai 1 (con numeri da capogiro: 6 milioni di spettatori, pari al 33,5% di share). Adattamento televisivo con la regia di Luca Miniero, la sceneggiatura di Daniela Gambaro, Massimo Reale, Vanessa Picciarelli e Chiara Laudani, e con una superba Luisa Ranieri, nel ruolo di Lolita Lobosco, la poliziotta barese. Non sono mancate, però, le critiche, da parte di critici letterari tanto coraggiosi da nascondersi dietro anonime tastiere di computer, sulla presunta esagerazione performativa linguistico-fonetica delle interpretazioni “colorite” della baresità; oppure, sulla rappresentazione da cartolina della città di Bari, delle sue spiagge, del suo centro storico, del suo territorio. A detta di costoro, coraggiosamente nascosti dietro la pagina virtuale dei social network, la rappresentazione della baresità, che è parte precipua dei libri di Gabriella Genisi, e, quindi, anche della trasposizione televisiva che ne è seguita, sarebbe stata esagerata, folklorica, se non coloristica. Il diritto di parola e di critica sono due libertà borghesi fondamentali, di cui il mondo occidentale va fiero, dall’illuminismo a oggi, che non vanno negate a nessuno. Anzi, andrebbero più e meglio praticate, purché dettate, però, da serenità d’animo, e da competenza (riconosciuta). Mi si permetta, dunque, di dissentire, da tale dissenso. Dissento da quanti hanno criticato la (presunta) leggerezza, e la baresità dei romanzi di Gabriella Genisi. La produzione giallistica della Genisi l’ho seguita (e amata), sin dagli esordi, inventando, per questi suoi romanzi della serie di Lolita Lobosco, la categoria interpretativa del «giallo sapido», proprio perché, nelle storie gialle inventate da Genisi la specificità gastronomica (cibo e ricette) non è orpello turistico, né curiosità culinaria, folclorica, ma, al contrario, essa è visione gioiosa e materica della vita. La cifra stilistica di Gabriella Genisi è proprio la leggerezza e la baresità. Scrivere oggi di Gabriella Genisi, dopo il grande successo della doppia serie televisiva, sarebbe fin troppo facile. Tra le scrittrici italiane, Gabriella Genisi si è ritagliata una identità ben precisa, per la scelta del genere giallistico, e per il particolare impasto tra lingua e dialetto, che caratterizza la sua scrittura. Gabriella ha dato vita a un universo fantastico (e reale) ben riconoscibile, che è la città di Bari, e la Terra di Bari, quella di contatto quotidiano, quella che tutti percorrono, e vivono. E ha dato corpo (e vita) al personaggio di Lolita Lobosco, grazie anche al divertente gioco, insistito e intrigante, di identificazione, e di scambio, tra sé stessa e il personaggio. Lolita è Gabriella. Gabriella è Lolita. La poetica della Genisi la definisco, appunto, poetica del giallo sapido. La componente alimentare, nelle sue storie, concorre a determinare il senso complessivo della narrazione. Il giallo del gusto, direi, con gioco ossimorico, in quanto vettore per giungere al gusto del giallo. Ecco un passaggio sapido, preso da Gioco pericoloso:
Per Gustavo [il giornalista che Lolita contatta, per raccogliere informazioni sul defunto Domenico Lamuraglia, ma anche per verificare, come donna, che tipo di effetto riuscisse ancora a fare su di un uomo, dopo aver subito l’affronto dell’abbandono, da parte di Giovanni, il suo oramai ex fidanzato] preparerò una torta caprese e devo comprare gli ingredienti. Uova fresche, mandorle e cioccolato. Non so a voi, ma a me cucinare fa ritrovare le mie certezze perdute oltre a farmi venir voglia di sedurre, e mentre monto con le fruste il burro e lo zucchero, e mescolo mandorle e cioccolato fuso, si accende la mia passione, il mio bisogno irrisolto di conferme, il desiderio di piacere a qualcuno. E pazienza se stasera la cavia del mio esperimento sarà l’incolpevole Gustavo Gironda.
È proprio l’impasto linguistico l’altro valore aggiunto dei romanzi di Gabriella Genisi, quel suo giocoso fluttuare tra lingua e dialetto, tra lingua nazionale, letteraria, e idioma locale, attingendo a piene mani alla musicalità della fonìa locale, senza mai indulgere nel colore, senza mai compiacersi dell’effetto macchiettistico. Del resto, uno scrittore questo deve fare, manipolare le parole, giocare, da fuoriclasse, con sillabe, vocali, consonanti e accenti, per dar vita a un impasto gradevole. Come in cucina, impastare, per arrivare a risultati sapidi. Poi, ci sono i modelli, sullo sfondo, che agiscono da faro, da punto di riferimento, come, nel caso della Genisi, l’insuperabile Andrea Camilleri, (e il suo Salvo Montalbano, direttamente citato da Lolita, più volte, forando la “quarta parete”, portando il lettore nella sua geo-fantastica: «Come direbbe l’amico mio Salvuzzo Montalbano, cherchez la femme»).