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Il dantismo carsico di Franco Battiato, nella sua Prospettiva Nevski

Il dantismo carsico di Franco Battiato, nella sua Prospettiva Nevski

A cura di Trifone Gargano
20 gennaio 2025 19:02
Il dantismo carsico di Franco Battiato, nella sua Prospettiva Nevski -
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Franco Battiato scrisse Prospettiva Nevski nel 1980, in collaborazione con Giusto Pio, inserendolo nell’album Patriots. La narrazione del brano rinvia a Leningrado, a Corso Neva (o Prospettiva Nevskij), che è la strada principale della città, e che la attraversa. Il presente storico di riferimento è il periodo della così detta NEP, la nuova politica economica, avviata da Lenin, il leader del partito bolscevico al potere, tra il 1921 e il 1928. Il testo della canzone si chiude con una coppia di versi enigmatica, ripetuta per due volte: «E il mio maestro mi insegnò / com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire», per suggellare, con queste parole, la smisurata devozione degli allievi, nei confronti di quel grande Maestro, che aveva insegnato loro, appunto, a cercare, e a trovare,«l’alba dentro l’imbrunire». Com’è noto, con questo distico Battiato esprime l’idea della difficoltà umana di riuscire a trovare, in una condizione di buio e di dolore (l’imbrunire), la speranza diuna prospettiva di rinascita, di rinnovamento. Generalmente, il testo di questa canzone di Battiato viene associato al racconto La prospettiva Nevskij, di Nikolaj Gogol’, per via di una certacomunanza tematica (solitudine, disillusione, ma anche ricerca di andare oltre la deludente realtà apparente). Molto intuitivamente, in effetti, l’alba della canzone di Battiato rappresenta la rinascita, la luce, il nuovo inizio; al contrario, l’imbrunire sta per il buio, per la sofferenza, per la morte. La critica musical-filosofica relativa aquesto brano di Battiato ha seguito, quasi universalmente, la direzione della esegesi esoterica, secondo la quale, seguendo la metafora dell’alba e dell’imbrunire, ci sarebbe difficoltà a riconoscere una forma di vita dopo la morte (con allusione alla credenza religiosa della reincarnazione, che lo stesso Battiato condivideva). Non insisterò ulteriormente in questa direzione di lettura interpretativa, anche perché è la più praticata (ed è stranota). Piuttosto, per parte mia, mi piacerà proporre, qui, ai lettori, una interpretazione di questo brano di Franco Battiato, conparticolare focus critico sui due versi conclusivi, battendo una inedita prospettiva dantesca, che, in modo carsico ma deciso, rinvia ad alcuni versi conclusivi del canto XXXIV dell’Inferno, lì dove, avvenuto il capovolgimento di Dante (e dell’universo intero), intorno al corpo villoso e mostruoso di Lucifero, il poeta, in compagnia di Virgilio, giunge a scorgere, appunto, «l’alba dentro l’imbrunire», il cielo stellato della montagna purgatoriale, con il suo tenue chiarore aurorale, dopo aver lasciato alle spalle il buio infernale. Lo stesso lessico dantesco, in prossimità dell’approdo alla spiaggia del Purgatorio, che verrà cantato nelle prime terzine della seconda cantica, ai versi 13-18 (con il celeberrimo attacco «Dolce color d’orïental zaffiro»), si rasserena:

 

Luogo è là giù da Belzebù remoto

d’un ruscelletto che quivi discende

Lo duca e io per quel cammino ascoso

intrammo a ritornar nel chiaro mondo;

tanto ch’i’ vidi de le cose belle

che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

[If., XXXIV, 127-139]

 

Occorre fare attenzione al lessico: ruscelletto, chiaro mondo, cose belle, ciel, stelle. Tutto sembra rasserenarsi, mettendo alle spalle il viaggio orribile appena compiuto, la lunga notte infernale attraversata (l’«imbrunire»), per lasciar posto all’«alba», alla rinascita. È stato detto, a ragione, che il verso conclusivo dell’Inferno sia tra i più belli dell’intera letteratura italiana: «E quindi uscimmo a riveder le stelle», introdotto dall’avverbio «quindi», che è così pregno di significati. Dante, così scrivendo, ci dice che, sì, finalmente, in compagnia di Virgilio, fosse giunto a rivedere le stelle, ma attraversando la notte dell’inferno, il buio pesto di quel regno senza luce. Con lui, cioè, quanti uomini avrebbero voluto, desiderato, raggiungere quella meta senza aver attraversato il buio dell’inferno. Dante è giunto a rivedere la volta celeste proprio passando da lì, bevendo l’amaro calice del dolore. Nella vita, cioè, occorre adattarsi alle sofferenze che ci giungono, non volendole, alle fatiche, ai dolori, alle avversità. Si giunge, dunque, a scorgere l’«alba» esattamente dentro l’«imbrunire», nell’oscurità della notte, del dolore. Dante e Virgilio, «per quel cammino ascoso», giungono a rivedere le «cose belle». Un approdo miracoloso, inatteso, un dono. Il cuore (di Dante, ma anche di chi legge) si riempie di rinnovata speranza, come viene ribadito nella prima terzina del canto I del Purgatorio:

 

Per correr miglior acque alza le vele

omai la navicella del mio ingegno,

che lascia dietro a sé mar sì crudele;

 

Quell’ultimo verso infernale, così luminoso, parla al cuore e alla mente di ciascuno di noi, per dirci che il Male è stato sconfitto, che è alle nostre spalle, che, dopo tanta fatica e dopo tanto dolore, è possibile, seguendo il Maestro, trovare «l’alba dentro l’imbrunire».

 

Per chi volesse ascoltare la canzone Prospettiva Nevski, di Franco Battiato:

https://www.youtube.com/watch?v=xTK-J5h2UEc

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