La Voce della Scuola

La Lotta alla Mafia - Un Viaggio attraverso la Storia e il Coraggio                                (Uciim Varese - sez. Paolo Borsellino e Rocco Chinnici)

La Lotta alla Mafia - Un Viaggio attraverso la Storia e il Coraggio                                (Uciim Varese - sez. Paolo Borsellino e Rocco Chinnici)

A cura di Redazione
27 aprile 2025 20:58
La Lotta alla Mafia - Un Viaggio attraverso la Storia e il Coraggio                                (Uciim Varese - sez. Paolo Borsellino e Rocco Chinnici) -
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Questo dossier è stato redatto con l’intento di raggiungere i banchi di scuola, per offrire agli studenti l’opportunità di conoscere alcuni degli eventi più significativi nella lotta contro la mafia e le sue tragiche conseguenze.Scriviamo in occasione del mese di maggio, quando ci avviciniamo alla Giornata della Legalità Nazionale del 23 maggio 2025, per riflettere su come la mafia abbia segnato la storia del nostro Paese e su come la lotta contro di essa continui, ancora oggi, a essere una battaglia di tutti.Il coraggio di chi ha dato la vita per combatterla è il faro che deve guidarci nel futuro, soprattutto tra i più giovani, che sono la speranza di un’Italia libera dalla criminalità organizzata.

1. La Strage di Ciaculli (1963): La Mafia Si Fa Sentire

Il 30 giugno 1963, la mafia siciliana compie un atto di violenza che segna l’inizio di una nuova fase della sua strategia di potere. La strage di Ciaculli avvenne a Palermo, dove un’esplosione causata da un’autobomba uccise sette poliziotti e due carabinieri. L’attentato fu una risposta della mafia alle forze dell’ordine che stavano cercando di infiltrarsi e combattere l’organizzazione criminale.La strage segnò un punto di non ritorno nella lotta tra lo Stato e la mafia, un conflitto che avrebbe preso una piega sempre più violenta e devastante nei decenni successivi. Ciaculli divenne il simbolo dell’arroganza e della brutalità della mafia, ma anche un monito per le istituzioni di non arrendersi.

2. Boris Giuliano: Un Poliziotto contro la Mafia (1979)

Nel 1979, il vicequestore Boris Giuliano, vicecapo della Squadra Mobile di Palermo, si distinse per la sua lotta contro il traffico internazionale di droga, in particolare per il suo ruolo nel decifrare la Pizza Connection, un vasto traffico di droga che collegava la Sicilia con gli Stati Uniti. Giuliano si rese conto della portata mondiale degli affari mafiosi e dell’importanza di fermarli. Il suo impegno lo rese un obiettivo della mafia, che lo uccise il 21 luglio 1979. La sua morte non fermò la sua battaglia; al contrario, la sua figura e il suo coraggio sono ancora oggi un simbolo nella lotta alla criminalità.

3. Rocco Chinnici: Padre del Pool Antimafia (1983)

Rocco Chinnici, giudice palermitano, è considerato il padre del Pool Antimafia, un’iniziativa che ha unificato il lavoro di magistrati, poliziotti e forze dell’ordine contro la mafia.Nel 1983, Chinnici creò un gruppo di magistrati per affrontare la criminalità organizzata con un approccio coordinato e strategico.Chinnici intuì che la mafia non poteva essere combattuta da singoli individui, ma solo da un fronte unito. Il suo impegno non si limitava alla magistratura, ma si estendeva anche agli studenti, ai quali Chinnici cercava di trasmettere la cultura della legalità, la consapevolezza dei rischi e la responsabilità di combattere la mafia. Fu assassinato il 29 luglio 1983, ma la sua eredità è viva oggi nel lavoro quotidiano di tanti magistrati e investigatori che proseguono la sua battaglia.La scuola deve molto a Rocco Chinnici perché attraverso il suo esempio e il suo lavoro ha offerto una lezione di vita che va oltre la giustizia e il diritto. Ha mostrato che la lotta alla mafia è una battaglia che coinvolge ogni cittadino, e che l’educazione è la chiave per formare una società libera dal giogo della criminalità organizzata. Per questo, l’eredità di Chinnici è fondamentale per formare cittadini consapevoli e responsabili, pronti a continuare la sua lotta, anche nelle aule scolastiche.Ricordare Rocco Chinnici non significa solo onorare un uomo che ha dato la sua vita per la giustizia, ma anche continuare a portare avanti il suo messaggio di educazione alla legalità e di impegno civico. Il suo esempio è un faro per chiunque voglia contribuire alla costruzione di una società più giusta e libera dalla mafia.——————————————————————————————————————————-

4. La Legge Rognoni-La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa (1982)

La Legge Rognoni-La Torre è uno dei pilastri della legislazione italiana nella lotta alla mafia e rappresenta un passo fondamentale nella costruzione di un sistema giuridico capace di contrastare efficacemente la criminalità organizzata.La legge fu approvata nel 1982 e prende il nome dai suoi promotori: Claudio Rognoni, Ministro dell’Interno, e Pio La Torre, un politico siciliano e deputato del Partito Comunista Italiano, che fu assassinato dalla mafia nel 1982 proprio per il suo impegno contro l’organizzazione criminale.La legge ha avuto un impatto decisivo nella lotta contro la mafia, in particolare con l’introduzione dell’articolo 416-bis del codice penale italiano, che ha permesso di punire la partecipazione a un’associazione mafiosa. Fino a quel momento, la mafia non poteva essere incriminata come organizzazione criminale specifica, e l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura era limitata alla repressione dei singoli crimini. Con questa legge, invece, si è cominciato a trattare la mafia come un fenomeno strutturato e organizzato, dando così la possibilità di perseguire non solo i singoli reati, ma anche il semplice fatto di far parte di un’organizzazione mafiosa.Un altro aspetto centrale della Legge Rognoni-La Torre è l’introduzione delle confische dei beni mafiosi. La legge prevedeva che, se una persona veniva arrestata per reati mafiosi o associati alla mafia, i suoi beni (come case, aziende e altri possedimenti) potessero essere sequestrati dallo Stato, se non riusciva a giustificarne la provenienza. Questo strumento è stato fondamentale per ridurre il potere economico della mafia, che si alimenta proprio attraverso il controllo illecito del territorio e delle risorse economiche.Pio La Torre, che fu uno dei primi a sostenere l’importanza di questa legge, è stato assassinato dalla mafia il 30 aprile 1982, proprio a causa della sua lotta contro di essa. La mafia cercò di fermare il suo impegno con un attentato che lo uccise insieme al suo autista. La sua morte non fece che rafforzare la determinazione del Parlamento e della società civile nel proseguire la battaglia contro la mafia, portando all’approvazione definitiva della legge che porta il suo nome.

Carlo Alberto dalla Chiesa, generale dell’Arma dei Carabinieri, fu inviato a Palermo con l’incarico di contrastare la mafia. Il suo approccio fermo e determinato portò alla realizzazione di una serie di operazioni mirate.

Arrivato in Sicilia, Dalla Chiesa si confronta con una realtà complessa e radicata: la mafia siciliana, che in quegli anni esercita un controllo quasi totale sul territorio, infiltrandosi in politica, nell’economia e nelle istituzioni. Dalla Chiesa sa che la lotta contro la mafia non può essere solo una battaglia di polizia, ma deve coinvolgere anche la società civile, e per questo lavora intensamente per unire le forze istituzionali e creare un fronte comune contro la criminalità organizzata.Uno dei suoi meriti più significativi è stato il tentativo di riformare l’approccio delle forze dell’ordine e della magistratura siciliana nella lotta contro la mafia. Dalla Chiesa promuove l’idea di un’azione coordinata tra i vari corpi di polizia, la magistratura e le istituzioni locali, creando un lavoro di squadra che avrebbe poi trovato la sua espressione nel “pool antimafia” che Rocco Chinnici avrebbe sviluppato ulteriormente.ma la sua morte, avvenuta il 3 settembre 1982, segnò una battuta d’arresto per la lotta antimafia. La sua morte, insieme a quella di Pio La Torre, divenne un simbolo della determinazione dello Stato contro la mafia.

5. Ninni Cassarà e Beppe Montana: Le Vittime della Squadra Mobile (1985)

Nel 1985, due investigatori della Squadra Mobile di Palermo, Ninni Cassarà e Beppe Montana, persero la vita mentre cercavano di smantellare i clan mafiosi. Cassarà, capo della Squadra Mobile, era noto per la sua abilità nel raccogliere informazioni cruciali per le indagini, mentre Montana, suo collega e amico, si dedicava alla lotta contro il traffico di droga. La mafia li uccise per fermare la loro azione, e il loro sacrificio rappresentò una ferita profonda per le forze dell’ordine, ma anche un momento che rafforzò il loro impegno nella lotta contro la criminalità organizzata.

6. Il Maxi Processo (1986-1987): Una Battaglia Storica contro la Mafia

Il Maxi Processo: Un Punto di Svolta nella Lotta alla MafiaIl Maxi Processo è uno degli eventi più significativi nella storia della lotta alla mafia in Italia, un processo che ha rappresentato una vera e propria battaglia legale contro la criminalità organizzata siciliana, in particolare contro Cosa Nostra. Si è svolto a Palermo dal 1986 al 1987, ed è stato il frutto di un lungo lavoro investigativo e di un impegno senza precedenti da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.

Le Origini del Maxi Processo

Il Maxi Processo nasce dalla crescente consapevolezza che la mafia siciliana, Cosa Nostra, aveva raggiunto un livello di potere e influenza tali da richiedere una risposta altrettanto forte e sistematica da parte dello Stato. Negli anni ’80, grazie anche al lavoro del pool antimafia creato da Rocco ChinniciGiovanni FalconePaolo Borsellino e altri magistrati, si iniziò a raccogliere materiale probatorio fondamentale per incriminare i vertici di Cosa Nostra. Gli investigatori riuscirono a identificare i legami tra la mafia, la politica, l’economia e altri settori cruciali della società siciliana.

Il Ruolo di Tommaso Buscetta

Uno degli elementi chiave che consentì l’avvio del Maxi Processo fu la collaborazione di Tommaso Buscetta, un importante boss mafioso che decise di diventare testimone di giustizia. Buscetta, che si trovava in carcere negli Stati Uniti, accettò di parlare con Giovanni Falcone, fornendo dettagli cruciali sulle strutture interne di Cosa Nostra e sui suoi legami con altre organizzazioni criminali.La sua testimonianza fu fondamentale per comprendere la gerarchia della mafia, i suoi metodi e i legami con l’economia e la politica. Fu anche la prima volta che un alto esponente di Cosa Nostra decise di cooperare con la giustizia, un atto che aprì la strada alla possibilità di affrontare la mafia in modo diretto e senza compromessi.

L’Accusa e la Difesa

Il Maxi Processo vide alla sbarra circa 475 imputati, tra cui i vertici di Cosa Nostra, accusati di una serie di crimini tra cui omicidi, traffico di droga, estorsioni e associazione mafiosa. Il processo si svolse con un’accusa che si basava principalmente sulle dichiarazioni di Buscetta, ma anche su indagini che avevano fatto luce su numerosi crimini commessi dalla mafia.La difesa, ovviamente, cercò in tutti i modi di minare la credibilità dei testimoni e delle prove presentate, sostenendo che le accuse fossero basate su testi inaffidabili e su un sistema giudiziario che non riusciva a garantire una giustizia equa. Nonostante le difficoltà, il giudice Giovanni Falcone e i suoi collaboratori riuscirono a far emergere un quadro chiaro delle attività criminali di Cosa Nostra.

La Sentenza e le Condanne

Il 16 dicembre 1987, dopo un anno di udienze e un lavoro arduo da parte dei giudici, arrivò la sentenza: 342 imputati vennero condannati, molti con pene gravissime, tra cui il carcere a vita. La condanna riguardava sia i membri di spicco della mafia, che quelli di livelli più bassi. Tra gli accusati c’erano personaggi del calibro di Salvatore RiinaBernardo Provenzano e Giuseppe “Piddu” Madonia, che erano tra i più importanti capi della mafia siciliana.La sentenza del Maxi Processo, purtroppo, non rappresentò una fine della mafia, ma un punto di svolta. Sebbene molti dei mafiosi condannati abbiano ricevuto pene severe, il processo non riuscì a eliminare completamente il potere di Cosa Nostra, che continuò a operare in Italia e nel resto del mondo.

Le Conseguenze e l’Eredità del Maxi Processo

Il Maxi Processo ebbe enormi implicazioni per la lotta alla mafia in Italia. Non solo contribuì a ridurre il potere di Cosa Nostra, ma segnò anche l’inizio di una nuova fase nella giustizia italiana, dove l’impegno di magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Rocco Chinnici divenne ancora più determinato.Nonostante i successi, il Maxi Processo fu anche l’oggetto di una serie di critiche. Molti degli imputati condannati nelle sentenze del Maxi Processo furono successivamente rilasciati, soprattutto a causa di alcuni errori procedurali, e alcuni dei boss più pericolosi, come Totò Riina e Bernardo Provenzano, riuscirono a restare latitanti per molti anni. Tuttavia, il Maxi Processo rappresenta ancora oggi un simbolo della lotta dello Stato contro la mafia e un punto di riferimento per le future indagini.In sintesi, il Maxi Processo è stato un evento cruciale nella storia della mafia in Italia. Ha contribuito a far emergere la verità su Cosa Nostra, ha creato una nuova consapevolezza della gravità del fenomeno mafioso e ha fornito strumenti legali e investigativi che sono stati essenziali nelle battaglie successive contro la criminalità organizzata. Nonostante le difficoltà e le critiche, il processo rimane una delle pietre miliari nella storia della giustizia italiana e della lotta alla mafia.

7. Rosario Livatino: Il Giudice Ragazzo (1990)

Rosario Livatino era un giovane giudice, la cui passione per la giustizia lo portò a combattere contro la mafia con grande determinazione. Livatino, che lavorava a Canicattì, riuscì a smascherare il sistema mafioso, seppur giovane e con pochi mezzi. La mafia, però, non lo perdonò. Livatino fu ucciso il 21 settembre 1990, mentre si recava in tribunale.

La “Giustizia Semplice”

Rosario Livatino aveva un approccio diretto e “semplice” alla giustizia. Spesso, nelle sue sentenze, poneva un accento sul buon senso e sull’importanza di agire sempre in nome della giustizia, senza mai farsi influenzare dalla corruzione o dalle pressioni esterne. La sua filosofia di vita era improntata al concetto che la giustizia deve essere un valore e non un interesse da manipolare. La sua frase più famosa, che gli attribuisce una grande lucidità e rettitudine morale, è:
“Il giudice deve essere libero. Deve esercitare la sua funzione non in base a ciò che è politicamente o socialmente conveniente, ma in base alla legge”.

La sua morte e l’eredità

Rosario Livatino non morì invano. La sua morte segnò un punto di non ritorno nella lotta alla mafia. La sua figura ha ispirato numerosi magistrati, forze dell’ordine e cittadini. Il suo sacrificio fu un forte messaggio di determinazione, di sacrificio e di impegno verso la legalità e la giustizia. Livatino ha incarnato l’idea che la lotta alla mafia non può mai piegarsi di fronte alle minacce e che la verità deve prevalere, anche quando si affrontano i poteri più oscuri e potenti.Il suo esempio è oggi un faro per tutti coloro che combattono contro la criminalità organizzata, e la sua figura continua a vivere non solo nella memoria dei siciliani, ma in quella di tutta Italia. A dimostrazione di quanto il suo impegno sia stato apprezzato, nel 2020 è iniziato l’iter per la sua beatificazione. La causa di beatificazione è stata avviata grazie alla testimonianza di chi ha conosciuto la sua opera e il suo esempio di vita.Il suo sacrificio ci insegna che la giustizia non è solo un valore astratto ma una battaglia quotidiana che richiede coraggio e determinazione. La sua memoria è oggi uno strumento potente per educare le nuove generazioni al rispetto della legalità e al contrasto contro la mafia.

8. La Strage di Capaci (1992): Giovanni Falcone e la sua Scorta

La strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui perse la vita Giovanni Falcone, la moglie, Francesco Morvillo, e gli agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, rappresentò una delle pagine più tragiche della storia recente. L’attentato, che colpì Falcone mentre si recava a Palermo, fu un tentativo della mafia di fermare la lotta alla criminalità organizzata. La sua morte suscitò una reazione enorme in tutto il Paese e divenne un simbolo della determinazione dello Stato.

9. 57 Giorni e la Strage di Via D’Amelio (1992): La Morte di Paolo Borsellino

Solo 57 giorni dopo la morte di Giovanni Falcone, il 19 luglio 1992Paolo Borsellino e cinque membri della sua scorta vennero uccisi in un altro attentato, questa volta in Via D’Amelio a Palermo. Borsellino, che aveva continuato il lavoro iniziato con Falcone, divenne anch’egli un martire della giustizia. La sua morte segnò un altro terribile colpo per lo Stato, ma anche una spinta alla lotta contro la mafia che non si sarebbe più fermata. Le vittime dell’attentato di Via D’Amelio furono Agostino CatalanoEmanuela LoiVincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina, che persero la vita per proteggere Paolo Borsellino.L’ultimo giorno della vita di Paolo Borsellino, il 19 luglio 1992, è stato un giorno carico di significato. Nonostante la pressione e il pericolo che lo circondavano, Borsellino ha trovato il tempo per dedicarsi a un gesto che rifletteva profondamente il suo impegno verso le nuove generazioni: ha risposto a una lettera inviatagli da una scolaresca di Padova. Quella lettera, purtroppo, non giunse mai a destinazione. Ma il suo contenuto, così come la sua vita e il suo sacrificio, ha lasciato un’impronta indelebile nella memoria collettiva.

10. Don Pino Puglisi: Un Sacerdote contro la Mafia (1993)

Don Pino Puglisi è stato un sacerdote che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia, non con la violenza, ma con l’amore e l’educazione. Don Pino lavorava nel quartiere Brancaccio di Palermo, dove cercava di aiutare i giovani a uscire dalla morsa della criminalità. La mafia, temendo la sua influenza, lo uccise il 15 settembre 1993. La sua morte non fermò la sua opera: oggi Don Pino Puglisi è un simbolo di speranza, che dimostra che la lotta alla mafia si può vincere anche con la forza della fede e dell’amore per il prossimo.L’esempio di Don Puglisi è un invito a tutti a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e a combattere le ingiustizie con la forza dei valori. La sua vita ci insegna che la mafia non può vincere se ognuno di noi sceglie di essere testimone di legalità, giustizia e speranza. La sua figura è un simbolo di quanto sia importante l’impegno quotidiano per il bene della comunità, soprattutto nei luoghi più difficili.

11. Le Stragi dei Georgofili e Parioli (1993): Attacco al Patrimonio dello Stato

Le stragi dei Georgofili e dei Parioli, avvenute nel 1993, segnarono un ulteriore passo nell’escalation di violenza della mafia. La mafia non si limitava più a uccidere persone, ma aveva come obiettivo anche le istituzioni, le forze dello Stato e il patrimonio pubblico. Questi attacchi dimostrarono la potenza e la capacità di infiltrazione della mafia, ma anche la sua volontà di sfidare lo Stato.

12. Giuseppe Di Matteo: Un Bambino Vittima della Mafia

Un esempio tragico della crudeltà della mafia è rappresentato dalla vicenda di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo. La mafia, nel 1993, rapì Giuseppe e lo tenne prigioniero per 779 giorni prima di ucciderlo. La mafia, che si vantava di “rispettare” donne e bambini, non esita a compiere anche questi atti inauditi per fermare chiunque osi opporsi al suo potere.

L’Inchiesta e la Condanna

L’omicidio di Giuseppe Di Matteo fu uno degli atti più efferati e scioccanti della mafia, ma anche uno dei più rilevanti nell’ambito delle indagini contro Cosa Nostra. La sua morte fece sì che molti, dentro e fuori la Sicilia, si sentissero ancora più determinati nel contrastare la criminalità organizzata.Nel 1996, il covo di Giuseppe fu finalmente trovato, e la verità sulla sua morte fu rivelata grazie alle indagini e alle testimonianze che portarono a numerosi arresti, tra cui quelli di uomini vicini a Giovanni Brusca, uno dei principali esponenti di Cosa Nostra. Brusca, che aveva avuto un ruolo centrale nell’omicidio, fu uno degli uomini condannati per il rapimento e l’assassinio di Giuseppe.La morte di Giuseppe è un simbolo della disumanità e della violenza della mafia, ma anche della necessità di non arrendersi mai.In occasione della sua morte, la Sicilia e tutta Italia hanno risposto con una reazione di indignazione, ma anche con la determinazione di non lasciare che l’omicidio di Giuseppe passasse inosservato. La sua storia è un monito per tutti noi, per ricordarci che la lotta contro la mafia non è solo una battaglia tra giustizia e criminalità, ma è anche una battaglia per la difesa della dignità umana.

Conclusioni: Una Lotta Che Non Si Ferma

La mafia ha cercato di fermare lo Stato, ma la sua violenza e il suo potere non sono mai riusciti a cancellare la determinazione di chi combatte per la giustizia. Le storie di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Pino Puglisi, Rosario Livatino e tanti altri, sono il nostro patrimonio.La lotta alla mafia è ancora in corso e non dobbiamo dimenticare che ogni piccolo passo che facciamo verso la legalità è un passo importante.Conoscere le storie di chi ha lottato contro la mafia, avvicinarsi a loro con rispetto, e celebrare non solo le giornate che commemorano le stragi, ma anche i giorni dei loro compleanni, sarà un modo per onorare la memoria di ognuno di loro, ricordando il loro coraggio e il loro sacrificio.(Filippo Tomasello presidente UCIIM Varese sez. Paolo Borsellino e Rocco Chinnici).

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