La morale costituzionale delle scuole di tendenza: il caso della maestra di OnlyFans
Se il vizio privato diventa pubblico, preparatevi: non c’è morale che tenga. Fa scandalo la maestra cacciata perché aveva un profilo su OnlyFans, piattaforma ben nota non per impartire lezioni di cate...

Se il vizio privato diventa pubblico, preparatevi: non c’è morale che tenga. Fa scandalo la maestra cacciata perché aveva un profilo su OnlyFans, piattaforma ben nota non per impartire lezioni di catechismo ma per esercitare la libera (e ben retribuita) professione del desiderio adulto. E subito, giù tutti in difesa dell’educatrice, indignati come se la Repubblica stesse affondando le sue mani nel privato altrui. Che toccante, che commovente, che falso.
La discussione ha assunto i toni ipocriti e melensi della caccia alle streghe: tutti vittime, tutti innocenti, salvo accorgersi poi, a ben guardare, che di vittime ce ne sono ben poche. Qui non stiamo parlando di una docente delle scuole pubbliche, sottoposta al codice etico degli insegnanti dello Stato e al suo obbligo di non urtare la pubblica sensibilità (cosa già discutibile, peraltro), ma di una scuola privata dichiaratamente cattolica. E si sa, in Italia, la Costituzione concede ampi margini a quelle che – con eufemismo burocratico da giuristi raffinati – vengono chiamate “scuole di tendenza”. Che tradotto vuol dire: qui si entra solo se si aderisce, in teoria e pratica, al modello di comportamento imposto dal proprietario della baracca.
Dunque la povera maestra non è vittima di uno Stato oppressivo e censorio, ma di una scuola privata che, costituzionalmente parlando, può permettersi il lusso di imporre ai suoi dipendenti una certa condotta morale, persino fuori dall’orario di lavoro. La maestra si aspettava forse che l’istituto, notoriamente avvezzo a crocefissi, preghiere e precetti morali da manuale tridentino, chiudesse gli occhi davanti a quello che considera (a ragione o a torto, poco importa) un comportamento immorale? La libertà privata del docente, in questo caso, s’è scontrata frontalmente con il privilegio costituzionale della “scuola di tendenza” di proteggere la propria “tendenza”.
Inutile, allora, il fiorire di confronti insulsi col codice etico del pubblico dipendente, come se la questione fosse quella. Il pubblico impiego c’entra meno di nulla, visto che la signora non era statale, ma dipendente privata al soldo di chi fa dell’etica – o del moralismo, a seconda del punto di vista – la sua ragion d’essere. La signora ha sbagliato mestiere, o forse ha sbagliato datore di lavoro, perché l’unica libertà privata ammessa in questi casi è quella di scegliere di non lavorare lì.
E dunque, dov’è il problema vero? È in quel piccolo, scomodo dettaglio costituzionale che permette alle scuole di tendenza di coltivare tranquillamente il loro orticello di moralismi, privilegiando le loro regole confessionali alla libertà privata dei dipendenti. Ciò che non andrebbe accettato con leggerezza è proprio questo: la Costituzione italiana, nata laica, concede oggi una sorta di libertà vigilata, una libertà “a corrente alternata”, in cui il diritto dell’istituzione a mantenere intatta la propria morale supera la libertà individuale.
Eccolo il vero nodo, tutt’altro che liberale: il privilegio costituzionale delle scuole di tendenza. Forse è tempo di smettere di stracciarsi le vesti per la povera vittima di turno e chiedersi piuttosto se questa Costituzione, che dovrebbe essere di tutti, non sia diventata in certi casi la fortezza di pochi. E non certo dei migliori.