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Le stimmate di Francesco, a 800 anni di distanza

Secondo la tradizione, ben ottocento anni fa, il 17 settembre del 1224, Francesco d’Assisi riceveva dal Signore il santo segno delle stimmate.

A cura di Trifone Gargano
17 settembre 2024 13:55
Le stimmate di Francesco, a 800 anni di distanza -
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Secondo la tradizione, ben ottocento anni fa, il 17 settembre del 1224, Francesco d’Assisi riceveva dal Signore il santo segno delle stimmate. Oltre ai primi biografi ufficiali di san Francesco, Tommaso da Celano, venerato come beato, e san Bonaventura, non senza polemiche e contraddizioni, di questo segno (o sigillo) ne scrive Dante Alighieri, nel canto XI del Paradiso, uno dei canti del cielo del Sole, lì dove, cioè, per bocca di san Tommaso d’Aquino, domenicano, il poeta fa tessere l’elogio del fondatore dell’ordine francescano:

nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo,                                                  che le sue membra due anni portarno [106-08]

 

nell’aspro monte [della Verna] tra il Tevere e l’Arno                                                                              prese da Cristo l’ultimo sigillo [cioè, l’approvazione]                                                                            che le sue membra portarono per due anni.

 

L’aspetto aspro, crudo, del monte della Verna, la natura, appunto, petrosa di quel monte (sasso) viene reso da dante attraverso l’utilizzo di due sole parole (crudo / sasso), in perfetta analogia con la situazione di Francesco, sofferente. Il sigillo, quindi, giunge a Francesco sofferente direttamente da Cristo, che gli dona il segno alle mani, ai piedi, e al costato, così come egli stesso aveva portato in croce. Le cinque piaghe di Cristo, prodotte, rispettivamente, dai chiodi e dalla lancia (che Cristo stesso mostrerà, una volta risorto al discepolo Tommaso). Anche in altri luoghi del Paradiso, Dante ricorderà le piaghe di Cristo (e la sua passione). L’espressione «ultimo sigillo», nei versi di Dante, si spiega in rapporto ai precedenti «sigilli», cioè, alle precedenti autorizzazioni ricevute dai papi, per l’approvazione del suo Ordine. Quest’ultimo sigillo, però, a differenza degli altri due, non è impresso sulla carta (pergamena), ma sul corpo. Pur nella estrema (e voluta) povertà lessicale di questa terzina, nella sua semplicità narrativa (luogo, fatto, conseguenza), Dante ha voluto esprimere, con efficacia comunicativa, l’assimilazione tra il poverello d’Assisi e Cristo sofferente. San Francesco come novello Cristo.

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