Leopardi «new global»
Leopardi «new global

di Trifone Gargano
Esiste (anche) un Leopardi politico, sorprendente e attualissimo.Questo aspetto del multiforme ingegno di Giacomo Leopardi (1798-1837), generalmente, viene sottaciuto, tanto nei libri, quanto a scuola, comprese certe ricostruzioni cinematografiche, anche recentissime, più attente all’effimero e all’intrattenimentofutile, che alla sostanza dell’opera e del pensiero leopardiani. Si preferisce, cioè, quasi unicamente, parlare del Leopardi pessimista, per poi liquidarlo come poeta maledetto, intendo maledetto dalla Natura, che lo aveva “sgobbato”, e che quindi lo aveva reso brutto e infelice, condannandolo al pessimismo, senza alcuna forma di riscatto. Chi continua a ripetere questo errato sillogismo non fa altro che rinnovare la calunnia di Niccolò Tommaseo (1802-1874), cattolico retrivo, che ostacolò Leopardi in tutti i modi, in vita, fino al dileggio più cattivo e feroce. Tommaseo, infatti, intendeva ridurlo al silenzio, calunniandolo e bloccandone la pubblicazione delle opere. Per fortuna, però, così non è stato.
Esiste dunque anche un Leopardi politico, progressivo, «new global», appunto, di una sconcertante attualità. Indicherò, in merito, un itinerario di letture, per far emergere questo sorprendente (e semisconosciuto) aspetto del pensiero politico di Giacomo Leopardi, che inizia con alcune pagine dello Zibaldone(datate settembre 1821), e che passa attraverso l’Operetta morale«Il Parini, ovvero della gloria» (scritta tra il mese di luglio e il mese di agosto del 1824), e che, infine, giunge a La ginestra, o ilfiore del deserto (scritta nella primavera del 1836, collocata per volontà dello stesso Leopardi come ultima poesia nei Canti, ma che, invece, fu scritta per penultima; giacché l’ultimo canto di Leopardi fu Il tramonto della luna, suo vero testamento poetico, completato poche ore prima di morire). In questi tre momenti (e nei relativi tre scritti che ho indicato), Leopardi sostiene che al progresso civile, sociale, culturale di una Nazione quasi mai concorre l’opera del genio isolato, che con le sue idee e con le sue opere compie dieci passi in avanti, rispetto al resto degli uomini. Anzi, il più delle volte, questo sopravanzare del genio, rispetto alla società intera, è un male, poiché egli viene deriso, non creduto e, talvolta, perfino perseguitato (o scomunicato). Il vero progresso di una Nazione, continua Leopardi in queste sue riflessioni, lo compiono i mediocri, non i geni, che, tutti assieme, quindi, compiono mezzo passo in avanti per volta, non dieci passi tutti in una volta. Con il tempo, a mezzo passo la volta, compiuto dalla folla dei mediocri, l’intera società si porta, pian piano, a quel decimo passo avanti, cioè, raggiunge quelle conoscenze, quel traguardo indicato anni prima dall’opera del genio. Dunque, la «social catena» dei mortali, che si erge contro «l’empia natura», è la forza che riesce a far progredire una Nazione. La moltitudine, non il singolo. Le citazioni, che, adesso, riporto, fanno ben comprendere il senso e lo sviluppo di questo pensiero leopardiano, dalla sua prima formulazione, nello Zibaldone (1821), fino al tweet fulminante, sentenzioso e poeticissimo de La ginestra(1836), mirabile esempio di distillazione linguistica.
«Lo spirito umano fa sempre progressi, ma lenti e per gradi. Quando egli arriva a scoprire qualche gran verità che dimostri la falsità di opinioni generali e costanti, e che farebbe fare un salto a’ suoi avanzamenti, il più degli uomini ricusa di ammetterla, segue placidamente il suo viaggio, finché arriva a quella tal verità, la quale come tutte le altre di tal natura, non diventa mai comune, se non lungo tempo dopo ch’ella fu […] dimostrata.
Si suol dire che lo spirito umano deve assaissimo, anzi soprattutto, ai geni straordinari e discopritori che s’innalzano di tanto in tanto. Io credo ch’egli debba loro assai poco, e che i progressi dello spirito umano siano opera principalmente degl’ingegni mediocri. Uno spirito raro […] si spinge innanzi e fa dieci passi nella carriera. Il mondo ride, lo perseguita a un bisogno, e lo scomunica, né si muove dal suo posto, o vogliamo dire, non accelera la sua marcia. Intanto gli spiriti mediocri, parte aiutati dalle scoperte di quel grande, ma più di tutto pel naturale andamento delle cose, e per forza delle proprie meditazioni, fanno un mezzo passo […]. Il mondo sì per questa ragione, sì per forza dell’esempio di molti, li segue. I loro successori fanno un altro mezzo passo con eguale fortuna. Così di mano in mano, finché si arriva a compiere il decimo passo, e a trovarsi nel punto dove quel grande spirito si trovò tanto tempo prima. Ma egli o è già dimenticato, o l’opinione prevalsa intorno a lui dura ancora, o finalmente il mondo […]. Così la sua gloria si ridurrà ad una sterile ammirazione, e ad un passeggero elogio […]. Un’età non vuol mai trovarsi in contraddizione colle sue opinioni passate […]. Ella non è capace se non di progredire appoco appoco sviluppando le sue cognizioni, e mettendo l’età future in grado di arrivare a credere il contrario di ciò che essa credette. Così lo spirito umano si avanza senza mai credere di mutare opinione […]. È perciò follia lo sperare di mutar l’opinione de’ propri contemporanei […]. Bisogna contentarsi di farle fare un piccolo grado».
[Zibaldone]
Tre anni dopo, rispetto a questo pensiero annotato nello Zibaldone, quasi con le stesse parole, Leopardi tornava sulconcetto del progresso dell’umanità e di una Nazione nell’Operetta morale «Il Parini, ovvero della gloria» (1824):
«Capitolo ottavo
[…] È sentimento, si può dire, universale, che il sapere umano debba la maggior parte del suo progresso a quegl’ingegni supremi, che sorgono di tempo in tempo, quando uno quando un altro, quasi miracoli di natura. Io per lo contrario stimo che esso debba agl’ingegni ordinari il più, agli straordinari pochissimo. Uno di questi […] procede nel sapere, per dir così, dieci passi più innanzi. Ma gli altri uomini, non solo non si dispongono a seguitarlo, anzi il più delle volte, per tacere il peggio, si ridono del suo progresso. Intanto molti ingegni mediocri, forse in parte aiutandosi dei pensieri e delle scoperte di quel sommo, ma principalmente per mezzo degli studi propri, fanno congiuntamente un passo; nel che per la brevità dello spazio, cioè per la poca novità delle sentenze, ed anche per la moltitudine di quelli che ne sono autori, in capo di qualche anno, sono seguitati universalmente. Così procedendo […], a poco a poco, e per opera ed esempio di altri intelletti mediocri, gli uomini compiono finalmente il decimo passo; e le sentenze di quel sommo sono comunemente accettate per vere in tutte le nazioni civili. Ma esso, già spento da gran tempo, non acquista pure per tal successo una tarda e intempestiva riputazione».
Ne La ginestra, o il fiore del deserto (1836), ben dodici anni dopo, rispetto all’Operetta morale, e quindici anni dopo, rispetto alla pagina dello Zibaldone, il linguaggio di Leopardi ha conosciuto una ulteriore distillazione, fino a rendere l’idea della «social catena», in pochissimi versi fulminanti, della misura e della velocità di un odierno tweet, come l’unica via percorribile dagli uomini:
contra l’empia natura
strinse i mortali in social catena
[vv. 148-49]
Ieri come oggi, l’Italia ha bisogno di un risveglio collettivo delle coscienze, appunto, di una «social catena», e non, invece, di un «uomo solo al comando». Altro che Presidenzialismo.