Note prima degli esami
“Note prima degli esami” non è la trascrizione errata della canzone di Venditti, ma è un gioco di parole perché questo articolo vuole annotare delle riflessioni sulla maturità 2023 vista da madre e da...

“Note prima degli esami” non è la trascrizione errata della canzone di Venditti, ma è un gioco di parole perché questo articolo vuole annotare delle riflessioni sulla maturità 2023 vista da madre e da insegnante. Finalmente si è tornati alla normalità; finalmente si fa di nuovo sul serio con le due prove e la commissione mista; finalmente la pandemia, il distanziamento, le procedure di sanificazione sono nel dimenticatoio. Mia figlia e gli alunni di una quinta che ho seguito ai tempi della dad sono tra i 536 mila maturandi che oggi affrontano la prima prova. Io non sono in commissione, ma le indiscrezioni generiche sulle tracce già circolano sui media: Quasimodo e Moravia per l’analisi testuale, una lettera sulla maturità al ministro Bianchi (non Valditara, chissà perché…).
Tutto sommato poteva andare peggio, poteva uscire qualche autore del secondo Novecento, in fondo i programmi ministeriali arrivano fino ai nostri giorni, ma i funzionari del Mim sono stati clementi con questi pionieri dell’esame post pandemia. E penso a mia figlia che a Moravia non è arrivata, come molti dei miei ex alunni, e comincio a pensare di voler gridare che l’imperatore è nudo, a voler dare voce a quello che tutti noi insegnanti ben sappiamo e cioè che ogni anno l’esame di maturità è vissuto come un terno al lotto da noi e dai ragazzi perché i funzionari del MIUR/MI/MIM pensano ad una scuola ben diversa da quella che conosciamo e viviamo noi. Nella mia carriera ho fatto una decina d’esami di maturità (insisto a chiamarli così nonostante da Berlinguer si dovrebbero chiamare esami di Stato) e in quest’ultimo anno ho seguito con sollecitudine genitoriale la questione sulla modalità di svolgimento dell’esame e mi fa piacere che si sia tornati a fare le cose come si deve; ma si potrebbe fare di meglio.
Le anticipazioni sulle tracce confermano che c’è, da parte del Ministero, un’attenzione particolare al Novecento, un secolo tutt’altro che breve in letteratura, in storia e in filosofia; noi docenti di discipline storiche e umanistiche facciamo una corsa contro il tempo per anticipare in quarta Foscolo, Leopardi e Manzoni, il Risorgimento e l’Idealismo; ma, nonostante gli sforzi, non ce la si fa mai in quinta ad arrivare al secondo Novecento, imponendo ai nostri giovani un salto temporale di quasi cent’anni che li catapulta dalla seconda guerra mondiale fino al primo ventennio del XXI secolo, fino agli inizi del III millennio. Come possono questi Millennial, come potranno quelli della Generazione Z e dell’Ultima Generazione, che tanto amano gli anni Ottanta e Novanta, capire il loro presente se non conoscono tutto quanto lo ha generato? Più banalmente come possono decodificare il contesto delle loro serie preferite, ambientate proprio negli anni della mia adolescenza? Sempre più spesso mi ritrovo, in aula ed in casa, a fare da testimone di quegli anni, un ruolo magnifico che assolvo con orgoglio e che espleto sulla scia della nostalgia e di emozioni varie: e non sono sicura che debba avvenire cosí la trasmissione storica. Si dovrebbe allora rimettere mano ai programmi scolastici e costruirli sull’intero quinquennio, non solo sull’ultimo triennio oppure si dovrebbero costruire percorsi paralleli ai curricoli, incentrati sullo studio del Novecento. Quanto alle competenze poi, per lo scritto di italiano, si dovrebbe tornare al tema soggettivo innanzitutto perché i ragazzi di tutte le generazioni hanno bisogno di raccontarsi, in secondo luogo perché Chat gpt è molto brava a costruire testi informativi ed argomentativi al posto dei nostri studenti. E voglio auspicare che la lettera al ministro del governo Draghi proposta ai maturandi di oggi possa essere intesa il tal senso, come un ritorno alla persona.
Veniamo poi alla seconda prova, quella più difficile, a dire il vero, perché in essa docenti e studenti riscontrano il disallineamento tra quello che il Ministero crede si faccia nelle scuole e quello che realmente si riesce a fare. Se la prima prova non spaventa perché su sette tracce, la trovo una che so svolgere, la seconda prova è netta: o la va o la spacca. E spesso è troppo più difficile di quanto si è preparati a fare. Ed anche noi insegnanti lo sappiamo. Per fortuna qualcuno ci avrà pensato anche al Mim ed ha fatto quest’altra concessione ai primi maturandi post pandemia: il commissario interno per la seconda prova. Dall’anno prossimo però sarebbe il caso di restituire autorevolezza all’esame di Stato e riproporre percorsi di preparazione alla seconda prova anziché perdere tempo nei tanto discussi pcto che, soprattutto nei licei, lasciano il tempo che trovano.
E qui vengo alle (dolenti) note, cui il titolo allude. Quanto seriamente è percepito l’esame di Stato dai nostri studenti che sono abituati a parametrare tutto con il loro straordinario pragmatismo? “A che mi serve il voto di maturità?” sento ripetere sempre più spesso dai miei alunni e da mia figlia. Con queste generazioni non funziona l’idealismo delle risposte cui eravamo abituati noi boomer: ” Lo fai per te, per il tuo futuro, per la tua cultura”. Questi ragazzi non possono permettersi di credere nei sogni, non hanno prospettive a troppo lungo termine perché noi gli stiamo consegnando un mondo pieno di problemi irrisolvibili. Io credevo che la pace nel mondo fosse possibile, che si potessero sconfiggere le mafie, il cancro, la povertà; loro fanno i conti con le nostre sconfitte e i nostri fallimenti ed hanno pure ragione ad avere una logica opportunistica. Dunque a cosa serve un buon voto all’esame di Stato? Non è tenuto in considerazione per l’accesso alle facoltà a numero programmato in quanto, diversamente da altri paesi europei in cui invece il voto d’esame è requisito prioritario, in Italia viene tenuto in considerazione solo l’esito del test d’ingresso; non è tenuto in considerazione neanche più come requisito di accesso ai concorsi pubblici, ma è preso in considerazione per risparmiare solo alcune tasse universitarie: molte università infatti prevedono esoneri parziali o totali per gli studenti che entrano con voti alti e riescono a mantenere un ottimo rendimento nel corso degli studi, ma questo requisito di merito spesso e giustamente è coniugato col requisito di reddito. Da qualche anno poi il Ministero ha attivato la pagina della valorizzazione delle eccellenze, grazie alla quale gli studenti particolarmente meritevoli possono ottenere borse di studio e agevolazioni, nonché una vetrina speciale da cui è possibile attingere da parte delle aziende, riservata ai diplomati con 100 e lode, l’Albo nazionale delle eccellenze.
La realtà però si scontra con situazioni ben diverse che fanno intuire invece una progressiva perdita del valore legale del titolo di studio a fronte dei tanti diplomifici, delle certificazioni linguistiche ed informatiche rilasciate da privati e che sono diventate un must nei curricoli scolastici e personali, alle tante agenzie formative che preparano ai test di medicina, ad esempio: si parte dalla quarta in parallelo al percorso scolastico, ma si studiano logica, biochimica, genetica, contenuti che sono sviscerati in esami universitari, non certo in programmi scolastici; e soprattutto si paga un servizio che non tutti possono permettersi.
Allora voglio proprio gridare che l’imperatore è nudo e mi piacerebbe che in molti dessero voce a quello di cui noi docenti spesso ci diciamo tra di noi nei corridoi, ma che non abbiamo quasi mai il coraggio di urlare a gran voce: si restituisca dignità alla scuola, alla scuola pubblica sarebbe un risultato ancora migliore ma ormai insperato, si riconsideri una riforma seria della scuola secondaria superiore di secondo grado, ma una riforma che parta da chi vive la scuola, non da chi la osserva dagli uffici e talvolta neanche la conosce; le riforme fatte a suon di ddl non ci piacciono ed hanno prodotto le aberrazioni di cui i nostri giovani pagano lo scotto. Si riconosca nuovo valore, merito se vogliamo, alla formazione scolastica e si costruiscano raccordi efficaci tra scuola e università. In quest’ottica l’esame di Stato sarà davvero un rito di iniziazione alla vita ed al lavoro, non solo il rituale, tanto emozionante quanto vano, di ritrovarsi tutti i maturandi in un bel posto e cantare la canzone di Venditti la notte prima degli esami.