Reati contro le donne: chi giustifica o resta inerme è complice. Dimenticare quel "SI' ma LEI"
Siamo ancora lontani dallo scardinare la cultura patriarcale e lontanissimi dall’avere una giustizia almeno accettabile per i reati contro le donne. Che vengano molestate, maltrattate, violentate, tor...

Siamo ancora lontani dallo scardinare la cultura patriarcale e lontanissimi dall’avere una giustizia almeno accettabile per i reati contro le donne. Che vengano molestate, maltrattate, violentate, torturate o addirittura uccise, la giustizia italiana non sembra proteggerle come dovrebbe. Che mondo stiamo consegnando alle future generazioni? In questi giorni agli abominevoli casi di femminicidio si aggiungono notizie altrettanto sconcertanti, l’ultima riguarda le dichiarazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa, che così come accadde a Grillo nel 2021, difende il figlio accusato di violenza sessuale ai danni di una ventiduenne. – SI’ ma LEI era drogata -, – SI’ ma LEI ha aspettato 40 giorni –, fra le vergognose dichiarazioni della seconda carica dello Stato che dovrebbero servire a giustificare il figlio.Sempre di questi giorni è un post pubblicato su Instagram da una giovane e preparata avvocata penalista, Francesca Florio, molto seguita anche dalle giovanissime, la quale lamenta pubblicamente la superficialità di certi colleghi maschi di fronte a reati come il bodyshaming: – SI’ ma LEI le foto gliele ha inviate -, come se inviare proprie foto intime a qualcuno di cui ci si fida o con cui si ha una relazione, autorizzasse certi soggetti a renderle pubbliche. Inevitabile citare anche l’intervista a Parolisi, inspiegabilmente in uscita grazie ad un permesso premio dopo 12 anni di carcere che dovrebbero piuttosto essere protratti fino a fine vita, per come ha massacrato nel 2011 la sua compagna Melania Rea, madre di sua figlia, perché, fra le varie dichiarazioni a Chi l’ha visto – SI ma LEI mi trascurava, faceva troppo la madre -, mettendo in risalto ancora una volta quanto certi uomini siano incapaci di amare la propria donna in tutte le fasi della sua vita, anche quando la maternità la mette di fronte ad un cambiamento radicale, e mettendo anche in risalto, purtroppo, l’inutilità di quei percorsi di recupero che evidentemente per svariati motivi non funzionano, come nel caso di questo soggetto. Il Parolisi è il classico esempio dei peggiori maschi alfa , quelli che praticano la negazione ad oltranza di fronte a qualunque ipotesi di assunzione di responsabilità, ed infatti continua a dichiararsi innocente nonostante le prove schiaccianti finanche sul suo DNA diano per scontato che l’assassino della moglie non possa essere che lui. Non ultimo il caso del bidello assolto perché “SI, ma l’ha palpata per pochi secondi“, e dunque secondo il magistrato non costituisce reato che un collaboratore scolastico infili la mano nei pantaloni di un’alunna, che tanto per poco tempo si può fare. Il problema è proprio come questi casi vengono risolti dalla legge, e fra un criminale come Parolisi, che viene addirittura intervistato in televisione, e il bidello che viene assolto perché il fatto non sussiste, ci sono tutte le altre migliaia di delinquenti che piuttosto che coltivare il rispetto e l’empatia per il genere femminile coltivano la granitica percezione di essere onnipotenti e di poter esercitare sempre e comunque la loro presunta condizione di supremazia, proprio in forza del fatto che tanto, alla fine, se la caveranno con poco o proprio nulla: a proposito del nulla, basti pensare alla violenza psicologica che spesso anticipa quella fisica e che ancora più spesso fa altrettanti danni, eppure sfido chiunque a riportare un solo caso di condanna per violenza psicologica ai danni di una donna, compagna, moglie o anche collega di lavoro, in Italia. Esistono paesi civili come Francia, Inghilterra, Galles e Scozia, in cui la violenza psicologica è stata normata in modo preciso e puntuale, ed è un reato. Nel 2019 si è aggiunta l’Irlanda, con una legge apposita che punisce la violazione della fiducia commessa da un partner contro l’altro in un contesto intimo con il carcere fino a 5 anni. Sembra un’esagerazione ma non lo è, se si considera che invece in Italia, ben sapendo che già alla prima bugia si delinea quasi sempre un malfattore, piuttosto che provare ad arginare il fenomeno ci consigliano di scappare. In Irlanda invece proprio questa legge, il Domestic Violence Act, mira a proteggere le vittime di controllo coercitivo in ambito domestico, e naturalmente a fare da deterrente. In Italia la violenza psicologica è compresa nel reato di maltrattamenti, art. 572 cod. penale, con reclusione da 3 a 7 anni, ma bisogna provare che il reato sia ripetuto e reiterato nel tempo, il che rende l’aspetto probatorio piuttosto complicato per la vittima. Tornando alla violenza fisica, ci si chiede come può alla luce dei fatti una madre infondere alla figlia la fiducia non soltanto nel genere maschile, ma anche e principalmente nelle Istituzioni. Sicuramente non si può fare di tutta un’erba un fascio, ma allora perché gli uomini non si sono mai mobilitati contro la violenza sulle donne? La voce maschile, di quella parte maschile sana che non può non esistere, dov’è? Tanti uomini sono anche padri, quale futuro stanno consegnando alle loro figlie? Pensano di essere abbastanza attenti alle figlie o che magari si farebbero giustizia da soli? La cronaca non avalla questa tesi, si pensi al povero papà di Michelle Causo che si è ritrovato la figlia fatta a pezzi a 17 anni in un carrello della spesa. Perché nel 2023 una ragazza non può vivere in modo libero, e senza pertanto doversi preoccupare se andare o meno in discoteca, per paura di essere drogata o stuprata, o di lasciare o meno un fidanzato troppo geloso, possessivo o manipolativo, per paura di essere sfregiata o ammazzata, o di sorridere ad un bidello a scuola o ad un coetaneo per paura di essere molestata? Se da un lato sta aumentando l’informazione, e sono sempre maggiori i canali e gli esperti prestati anche ai social, che insegnano alle donne a riconoscere la moltitudine di soggetti disturbati che si nasconde nella quotidianità di ciascuno di noi, dall’altro non ci sono riforme serie che garantiscano la certezza della pena per chi usa, a qualunque titolo, violenza sulle donne. L’effetto boomerang che ne consegue è altrettanto pericoloso: si incentivano le donne a denunciare gli abusi subiti, da un lato, lasciandole pero’ scoperte se uno di questi delinquenti riesce a farla franca o a cavarsela con poco grazie a patteggiamenti e riduzioni della pena, con l’angoscia che una volta liberi si rifacciano vivi per completare l’opera di distruzione della vittima. Non si può vivere nel sospetto, né dovendosi sempre preoccupare di essere o meno scollacciate o di quanto è corta una gonna, o se c’è qualcuno che ci riaccompagni a casa perché la strada per una donna sola, da quando c’è vita sul nostro pianeta, non è mai sicura. La riforma Cartabia e’ nata per implementare l’efficienza dei processi penali, con una riduzione dei tempi di almeno il 25%, ma la cronaca di ogni santo giorno ci racconta ben altro, ovvero che prima di pensare a snellire la Giustizia bisogna lavorare per assicurarla, la Giustizia, e principalmente bisogna lavorare, giova ripeterlo, sulla certezza della pena, aumentando piuttosto che alleggerendo, in particolare, proprio le pene relative ai reati contro le donne. Frasi come “SI’ ma LEI” dovrebbero sparire da qualunque iter legale, dalle sentenze dei Magistrati e dal vocabolario di certi avvocati senza scrupoli, che non fanno altro che spostare il problema dal carnefice sulla vittima, per onorare ad ogni costo il principio che tutti hanno diritto alla difesa. Tutto ciò non giova al bene della collettività, la proliferazione dei delitti contro le donne è sotto gli occhi di tutti, è davvero preoccupante, e chi giustifica o resta inerme ne è complice.