Renato Fucini e Giacomo Puccini, due canzonette
Renato Fucini e Giacomo Puccini, due canzonette

di Trifone Gargano
E l’uccellino, canzone per pianoforte, su testo di Renato Fucini(1843-1921), e musicata da Giacomo Puccini (1858-1924), nel 1899:
E l’uccellino canta sulla fronda:
Dormi tranquillo, boccuccia d’amore:
Piegala giù quella testina bionda,
Della tua mamma posala sul cuore.
E l’uccellino canta su quel ramo:
Tante cosine belle imparerai,
Ma se vorrai conoscer quant’io t’amo,
Nessuno al mondo potrà dirlo mai!
E l’uccellino canta al ciel sereno:
Dormi, tesoro mio, qui sul mio seno.

Si tratta di una ninna nanna delicata, che riproduce un quadretto familiare molto intimo, tra un bambino e la sua mamma, che lo tiene in braccio amorevolmente, tentando di farlo dormire. Renato Fucini fu scrittore e poeta, oltre che insegnante e ispettore scolastico (benché si fosse laureato in Agraria, insegnò “belle lettere”). Nelle sue novelle, Le veglie di Neri (1882), Fucini ritrae ambienti agresti e popolari a lui familiari, con ambientazioni in Maremma, e nei borghi dell’appennino pistoiese, luoghi che frequentò, in qualità di ispettore scolastico.
Della ninna nanna E l’uccellino è possibile ascoltare l’interpretazione del tenore Placido Domingo:
Avanti Urania! fu musicata da Giacomo Puccini nel 1896, sempre su testo di Renato Fucini. Canzone per pianoforte, composta in onore dell’acquisto, da parte dell’amico Carlo Ginori Lisci, di un bastimento a vapore (di ben179 tonnellate):
Io non ho l’ali, eppur quando dal molo
lancio la prora al mar,
fermi gli alcioni sul potente volo
si librano a guardar.
Io non ho pinne, eppur quando i marosi
niun legno osa affrontar,
trepidando, gli squali ardimentosi
mi guardano passar.
Simile al mio signor,
mite d’aspetto
quanto è forte in cuor,
le fiamme ho anch’io nel petto,
anch’io di spazio,
anch’io di gloria ho smania.
Avanti, Urania!
Giacomo Puccini amò sempre l’acqua, fino a eleggere le sue dimore (come Torre del Lago) in prossimità di laghi, o di mare (Viareggio, Orbetello). Amava l’elemento liquido fin da bambino, con una passione che andò crescendo negli anni. Nel 1895,acquistò, a Viareggio, un motoscafo; e nel 1903 una lancia (con motore americano, Wolverine), per gustare l’ebbrezza della velocità. A sessantacinque anni, nel 1923, Puccini acquistò a Varazze un motoscafo velocissimo (brivido e passione che condivideva con Gabriele d’Annunzio), che riusciva a toccare più di 40 km all’ora (per questo acquisto si giustificò con un amico, scrivendogli che non poteva farci nulla, tale era la forza della sua passione, giudicata, evidentemente, come esagerata, e pericolosadagli altri, ma che, in fondo, egli trovava una giustificazione nel fatto che si sentisse «giovane e di belle speranze»). Per motivi di lavoro, Puccini fece molti viaggi per mare, in transatlantico (per raggiungere Montevideo, nel 1905; e New York, nel 1907, descrivendo, in una lettera alla sorella Ramelde, la sua cabina con entusiasmo fanciullesco: «È un vapore enorme, 25 mila tonnellate, 40 mila cavalli di forza, ci sono salotti, salottini, giardino d’inverno con fiori e palme colossali veri. Due ristoranti, una grande birreria, sale per ginnastica […]. C’è la banda e due orchestrine […]. Acqua calda e fredda sempre. Riscaldamento elettrico. Anche gli accendisigari sono elettrici»).
Puccini e d’Annunzio avevano più volte provato anche a collaborare artisticamente, per fondere assieme il melodrammacon il dramma moderno, senza però riuscirci. C’è da dire che Puccini, con i suoi librettisti, era molto esigente, e d’Annunzio non era certo tipo da sottomettersi tanto facilmente. Molti elementi delle due rispettive personalità, però, coincidevano (non solo la comune passione per i motori e per la velocità, ma anche una certa tendenza al dandismo, più accentuata in d’Annunzio, ma ugualmente presente e fervida in Puccini; compresa pure una comune propensione all’amore passionale e travolgente; alla loro natura artistica “pop”, sia nel senso che entrambi avessero fortuna presso il vasto pubblico, sia perché entrambi inclini alle sperimentazioni). d’Annunzio volle che la sua Francesca da Rimini divenisse opera lirica in collaborazione con Giacomo Puccini, ma finì per farla con Riccardo Zandonai (libretto di Tito Ricordi). Risale al 1900, un tentativo, andato fallito, tra d’Annunzio e Puccini di realizzare assieme un’opera. Si trattava dell’opera Cecco d’Ascoli, della quale però non ci è giunto nulla, se non le lamentele di Puccini, presso Giulio Ricordi, perché d’Annunzio (in qualità di librettista) tardava nelle consegne,almeno, della traccia del primo atto, che non giunse mai, facendo, così, fallire il progetto. Nel mese di febbraio del 1906, i due tonarono a provarci, così come d’Annunzio scriveva a Tito Ricordi, dichiarando di voler consegnare, nei tempi promessi, al maestro, un poema di «insolita poesia». La vita frenetica (e spendacciona) di d’Annunzio, l’assillo dei debiti e dei creditori, fece naufragare anche questo secondo tentativo, perché d’Annunzio, distratto da ben altre cose, non riuscì a tener fede ai tempi di consegna, per le parti del libretto. Tuttavia, nell’agosto di quello stesso anno, Puccini e d’Annunzio sembrarono intenzionati a dar vita a un progetto del tutto inedito, La Rosa di Cipro, con rinnovata lena, da parte di entrambi. d’Annunzio scrisse il primo atto, e lo lesse al maestro, che, dopo un iniziale entusiasmo, si raffreddò, giudicandolo poco “carnale”. Tempo dopo, con sincera delusione, d’Annunzio confidò a un amico che i suoi rapporti con Puccini si erano sempre rivelati «sterili». Con grande sorpresa, però, nel 1911, Puccini e d’Annunzio ripresero a scriversi, per un (ennesimo) nuovo progetto da condividere, La crociata degli innocenti, con Puccini che precisa subito a d’Annunzio ch’egli desidera, per questa nuova opera, «amore, dolore, grande dolore in piccole anime». La trama è questa: un pastore tradisce la propria fidanzata, con un prostituta lebbrosa, la quale, per guarire dalla lebbra dice al pastore che deve bere il sangue di una innocente; questi, in segno d’amore, uccide la sorellina; l’intervento di un mistico pellegrino però risuscita l’innocente uccisa, e converte a vita virtuosa la prostituta; tutti, a questo punto, si mettono in viaggio, unitamente a un gruppo di bambini – gli innocenti, appunto – verso la terra Santa; la nave cade nelle mani dei pirati, che intendono venderli come schiavi; durante una colluttazione, nel parapiglia, la fidanzata del pastore e la sua sorellina cadono in mare e muoiono. Per questo progetto, d’Annunzio rivelerà, a diversi amici, che è piuttosto spazientito dalla perenne insoddisfazione di Puccini, nei confronti del suo libretto. Nel 1913, Puccini musica il primo atto del libretto di d’Annunzio, e confessa allo stesso poeta che si sente trapassato dalle parole di quel primo atto. Pochi giorni dopo, nel gennaio del 1913, d’Annunzio invia, con grande soddisfazione, al maestro, gli altri due atti dell’opera. A Puccini, però, questi due atti non piacciono per nulla, e le cose, quindi, si complicano nuovamente. Per Puccini, questi due atti sono una «informe mostruosità». I rapporti si interrompono del tutto. Gabriele d’Annunzio, dal canto suo, trovò in Pietro Mascagni e in Ildebrando Pizzetti, due musicisti più malleabili e disponibili di Puccini, con il quale, quindi, la storia della ricerca di una collaborazione artistica, sviluppatasi tra il 1894 e il 1913, fu fallimentare. Si sa che, per la stesura dei libretti, il poeta deve sottostare ai desideri (a volte, anche ai capricci, o alle bizzarrie) del musicista, che gli impone ditagliare, di aggiungere, di rifare e, poi, di rifare ancora. d’Annunzio, invece, aveva scritto, ne L’Isotteo, sua raccolta poetica, che «il verso è tutto». Dunque, mai avrebbe potuto piegarsi a un ruolo subalterno.
Sempre nell’interpretazione di Placido Domingo, ecco il link per ascoltare Avanti Urania!: