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Scuola: lo Sciopero che non c’è e il sindacato tra lotta e governo

Nella storia (e non solo italiana) i sindacati del pubblici che si muovono fanno rumore. Eppure, lo sciopero della scuola dichiarato dalla FLC CGIL il 31 ottobre, non ha prodotto molto più che un suss...

A cura di Redazione
01 novembre 2024 10:41
Scuola: lo Sciopero che non c’è e il sindacato tra lotta e governo -
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Nella storia (e non solo italiana) i sindacati del pubblici che si muovono fanno rumore. Eppure, lo sciopero della scuola dichiarato dalla FLC CGIL il 31 ottobre, non ha prodotto molto più che un sussurro: appena il 2,41% di adesione, secondo i dati diffusi il 1° novembre dal cruscotto sugli scioperi pubblici (certo, ancora parziali ma abbastanza consistenti da lasciar intuire quelli definitivi). In termini pratici, questo significa che oltre il 97% dei lavoratori non ha aderito, un dato che rasenta l’insignificanza e che getta un’ombra sulla credibilità dell’intera mobilitazione. O meglio: sulle reali intenzioni dei promotori.

Il Progetto di Landini: sindacato o politica?

Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, non è uomo che si lasci spaventare dai numeri. Anzi, si potrebbe dire che sia difficile che non avesse preventivato una percentuale così bassa di adesioni. Ma lo sciopero della scuola, in questo caso, non sembra essere che la tappa di una strategia più ampia. Difficile immaginare che Landini, con il suo bagaglio di esperienza e pragmatismo, abbia potuto sperare in un’adesione massiccia, soprattutto nel mondo della scuola, dove stipendi bassi, dubbi e  vincoli vari, frenano spesso chi pure sciopererebbe. Piuttosto, pare che la sua sia una mossa che ragiona su di un piano più sottile: quello della costruzione di un terreno utile ad una nuova alleanza tutta politica.

C’è in Landini l’ambizione di voler fare della Cgil non solo un sindacato, ma un vero e proprio centro di gravità della sinistra italiana, alla testa di un movimento che possa contrastare il governo Meloni. Questa visione ha radici antiche: l’idea che il sindacato sia anche una forza politica, capace di orientare il dibattito e le scelte di un intero blocco sociale, non è nuova, e Landini, da oppositore interno della Camusso, ha sempre mirato a fare della Cgil una forza in grado di influenzare la sinistra. Ma oggi, con Elly Schlein alla guida di un Partito Democratico in cerca di identità, quell’ambizione che per un po’ sembrava finita in soffitta, sembra tornare viva, assumendo i tratti della vecchia “cinghia di trasmissione” tra sindacato e partito (il PCI di un tempo), ma a parti invertite tra partito di riferimento e organizzazione sindacale.

La “cinghia di trasmissione”: una storia che ritorna

Il concetto di “cinghia di trasmissione” non è altro che un eufemismo per indicare la subordinazione strategica tra il sindacato e il partito politico. Nella Cgil, ai tempi di Giuseppe Di Vittorio e poi con Lama e Trentin, il sindacato rappresentava capillarmente le masse popolari attraverso l’organizzazione dei lavoratori, ma rispondeva politicamente agli interessi del PCI.

Fin da Di Vittorio il rapporto tra sindacato e partito era stato discusso per mantenere un margine di indipendenza, con pochissima fortuna e l’ombra del PCI sempre lì, imponente. Negli anni ’80 e ’90, questa subordinazione iniziò a vacillare, fino alla rottura definitiva con l’avvento di Matteo Renzi, che tolse ogni dubbio: la Cgil non avrebbe più fatto il gioco del maggior partito della sinistra, né si sarebbe lasciata trascinare in operazioni politiche considerate oramai lontane dalla matrice ideologica di riferimento.

Il quadro di oggi sembra ribaltato. È il sindacato, questa volta, a porsi come guida politica di una sinistra disorientata, una specie di “cinghia di trasmissione” capovolta, in cui la Cgil punta guidare il Pd verso una battaglia senza quartiere contro il governo di Giorgia Meloni. Una strategia audace, senza dubbio, ma che si espone al rischio di vedere il sindacato perdere la propria identità per una battaglia che rischia di rivelarsi un esercizio di retorica.

Il vecchio sogno di Landini oppositore interno

Prima di prendere il comando della Cgil, Landini aveva più volte parlato della sua “coalizione sociale”, un blocco in cui il sindacato avrebbe rappresentato non solo i lavoratori, ma tutte le forze sociali in difficoltà, divenendo una sorta di rappresentanza unica per gli interessi popolari. Allora, da oppositore interno della Camusso, Landini vedeva nel sindacato una forza capace di orientare la politica della sinistra, più che di seguirla. Oggi, con Schlein, che appare incline a un progetto simile, l’ambizione sembra tornare in auge. Landini sogna forse un sindacato che non si limiti a contrattare, ma che faccia politica, guidi la protesta, diventi il fulcro di un’opposizione sociale che possa imporre alla politica le sue priorità.

CISL e UIL: strategie e visioni diverse

Ma non tutte le organizzazioni sindacali condividono questa visione. Anzitutto va ricordato come l’ atto di nascita degli altri due sindacati confederali sia legato proprio al problema della “cinghia di trasmissione” non condivisa da cattolici da una parte e laici dall’ altra.

Di fatto la Cisl di Luigi Sbarra si tiene lontana da quella che considera una vera e propria deriva politicizzata, fedele alla tradizione di un sindacato “di governo” che negozia, dialoga e cerca risultati concreti, senza avventurarsi in campagne ideologiche.

Discorso diverso per la Uil. Il sindacato laico per eccellenza, nato per tenere lontana l’ organizzazione dei lavoratori e la loro tutela dagli interessi dei partiti, oggi si trova in una posizione decisamente più ambigua. Costretta a seguire la Cgil nella mobilitazione per non rimanere definitivamente isolata, lo fa senza esporsi troppo, senza abbracciare completamente l’idea di una battaglia politica che sarebbe decisamente fuori dal suo DNA. Incapace di riorientarsi sulla tradizione riformista, segue giocoforza la CGIL, quasi per necessità, puntando a rimanere con un piede dentro ed uno fuori da un progetto che, in tempi di eccessiva “liquidità” delle organizzazioni partitiche, potrebbe acquistare peso rilevante in futuro.

Il Boomerang di uno sciopero fallito

Il problema di fondo, però, resta uno: uno sciopero che fallisce, un’adesione ridicola, non indeboliscono il governo, ma chi lo ha proclamato. Ogni percentuale non raggiunta, ogni lavoratore che decide di non scioperare rappresenta un colpo secco alla credibilità di chi sciopera. Quando i lavoratori voltano le spalle alla protesta, mandano un messaggio chiaro: quella lotta non li rappresenta. Uno sciopero così debole rischia di rendere il sindacato un interlocutore meno temibile e più prevedibile, un attore indebolito che si presenta alle trattative per il rinnovo contrattuale con poco peso specifico.

Nuovo sciopero e vecchi fantasmi

Eppure, malgrado il flop del 31 ottobre, Landini e Bombardieri rilanciano, convocando un nuovo sciopero per il 29 novembre. Una scommessa sul futuro o ostinazione evidente? Certo non è chiaro se sarà sufficiente a trasformare questa mobilitazione in qualcosa di significativo. L’incubo di un altro insuccesso incombe, e con esso il rischio di diventare lo “sciopero che non c’è”.

A chi giova questa politica sindacale?

Per la Cgil, a quanto pare, l’unica vera speranza per i lavoratori passa per un governo di sinistra. Una visione, questa, che tiene vivo l’antico, affascinante, sogno socialista, ma che mostra tutta la sua fragilità in un contesto in cui la politica e la società italiane si sono già mosse in altre direzioni. Una linea che sa piuttosto di nostalgia, di tempi passati definitivamente. Con un progetto che rischia di restare uno strumento sterile, incapace di rappresentare una base lavorativa che guarda alla politica con sempre più disincanto.

Ma alla fine: i lavoratori lo sanno?

La vera domanda, alla fine, è una sola: i lavoratori sono ancora interessati a questa battaglia? A chi giova uno sciopero che non c’è? Se lo sciopero del 29 novembre dovesse trasformarsi in un’altra prova di debolezza, il sindacato rischia di alienarsi ulteriormente, di diventare l’eco di una lotta che non appartiene più a chi lavora.

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